Pronta la retromarcia sugli aumenti di stipendio per i deputati regionali. Il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, ha dato mandato agli uffici di «studiare una soluzione giuridicamente valida» per bloccare l’aumento da circa 900 euro al mese approvato appena martedì scorso all’unanimità. La soluzione che Galvagno immagina è quella di un emendamento alla Finanziaria, o un disegno di legge autonomo, che abroga un vecchio articolo della legge che nel 2014 ha ridotto le indennità dei deputati prevedendo però l’aumento automatico di anno in anno in base all’indice Istat che misura la crescita dell’inflazione. Ed è quello che è successo quest’anno, l’inflazione galoppante ha provocato un aumento in busta paga di 900 euro al mese che costa alle casse pubbliche 750 mila euro. Galvagno si è detto dispiaciuto per «una misura che era stata programmata nelle scorse legislature e che non ho avuto il tempo di esaminare e fermare, visto che l’Ars si è insediata realmente a fine novembre e di lì a poco è stato predisposto il bilancio interno che prevede l’aumento della voce di spesa per i deputati». Dopo che le polemiche sono divampate, Schifani ha preso le distanze dagli aumenti. Ma tutti i partiti hanno difeso le buste paga maggiorate. Anche l’opposizione, che con il pentastellato Nuccio Di Paola e il dem Antonello Cracolici ha parlato di «ipocrisia da parte di chi critica». Ma in mattinata alla presidenza dell’Ars è arrivato anche l’input dei vertici nazionali di Fratelli d’Italia. Il partito della Meloni, e dello stesso Galvagno, non ha gradito l’effetto mediatico provocato da questo aumento. Ed è stata la mossa decisiva. Ora Galvagno riunirà i partiti e discuterà delle mosse che si possono fare per sterilizzare l’aumento: «Non sappiamo ancora come, ma troveremo il modo di toglierci questo aumento di stipendio». All’Ars la voce si è sparsa subito. E, va detto, non tutti sono d’accordo sulla retromarcia.