Giorgia Meloni risponde con nettezza alle richieste di chiarimenti da parte delle opposizioni sulla vicenda Cospito. Lo fa con una lettera al Corriere della Sera in cui chiede a tutti , a cominciare dal suo partito, di abbassare i toni di una polemica che sta scivolando - rimarca - su un crinale rischioso per il paese. Ma non usa mezzi termini nel puntare l’indice verso la sinistra , ed il Pd, rei di aver alzato un «polverone» con motivazioni «chiaramente strumentali». Così come, senza se e senza ma, blinda il sottosegretario Andrea Delmastro e il deputato Giovanni Donzelli, respingendo qualsiasi richiesta di dimissioni. Una presa di posizione che motiva nel dettaglio, con alcune considerazioni sul ruolo del Partito democratico in questa vicenda, a partire dalla visita dei 4 parlamentari dem al carcere di Sassari per incontrate l’anarchico pescarese. E le successive richieste di «mettere in discussione il 41 bis» senza rendersi conto delle conseguenze di questa richiesta- sottolinea la premier - in una fase delicata per la lotta alla criminalità organizzata. La reazione del Pd è rabbiosa, con Enrico Letta e i capigruppo Serracchiani e Malpezzi che accusano Meloni di parlare più da capopartito che da capo del governo, con parole volte a «difendere l’indifendibile», attizzando l’incendio invece di spegnerlo. La premier ha escluso la possibilità che il sottosegretario di FdI si debba dimettere dal suo incarico, partendo da una considerazione generale: «sicuramente i toni si sono alzati troppo, e invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso». Poi entrando nel dettaglio: «Tuttavia, non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti per le dimissioni che qualcuno ha richiesto. Peraltro, le notizie contenute nella documentazione oggetto del contendere, che il Ministero della Giustizia ha chiarito non essere oggetto di segreto, sono state addirittura anticipate da taluni media». «Trovo singolare che ci si scandalizzi perché in Parlamento si è discusso di documenti non coperti da segreto, mentre da anni conversazioni private - queste sì da non divulgare - divengono spesso di pubblico dominio. Trovo singolare l’indignazione del Pd per un’accusa sicuramente eccessiva, quando però la sinistra in passato ha mosso alla sottoscritta, leader dell’opposizione, le accuse di «essere la mandante morale delle morti in mare» o di guidare un «partito eversivo», per citarne alcune. Senza dimenticare quando esponenti istituzionali gridavano tra gli applausi che avremmo dovuto «sputare sangue». Un passaggio che viene ancora contestato dal Pd e dal suo segretario: «Riteniamo davvero molto grave che la Presidente del Consiglio non consideri la diffusione di documenti dichiarati dal Dap non divulgabili come una ragione per le dimissioni del sottosegretario alla Giustizia. E riteniamo altrettanto grave che non senta il dovere di prendere le distanze dall’uso diffamatorio verso il Partito democratico che il coordinatore del suo partito, nonché vice presidente del Copasir, Donzelli, ha fatto di quelle notizie riservate». L’affondo di Giorgia Meloni verso il Pd si concentra anche sul «paradosso» che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche di questi giorni si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico». «E quello che colpisce me, ancora più di quella visita» - rincara - è che «ben sapendo quanto alla mafia convenga mettere in discussione il 41bis, autorevolissimi esponenti del Pd abbiano continuato a chiedere la revoca dell’istituto per Cospito, fingendo di non comprendere le implicazioni che tale scelta avrebbe avuto soprattutto in termini di lotta alla criminalità organizzata». Meloni inquadra «uno scenario che richiede prudenza e cautela ma che deve vedere compatto lo Stato, in tutte le sue articolazioni e componenti, a difesa della legalità». Quindi chiude con un «un appello» che rivolge a politici, giornalisti, opinionisti, per evitare di «essere tutti responsabili di un’escalation che - puntualizza - può portarci ovunque». Appello che viene accolto dal leader M5s Giuseppe Conte con una premessa: deve chiedere le dimissioni dei suoi due fedelissimi e, come presidente del Consiglio, curare gli interessi di tutti.