Senza una norma «Salva Sicilia» nella legge di conversione del Dl Aiuti o nella manovra finanziaria, il governo di Renato Schifani sarà costretto a trovare e accantonare subito in bilancio 866 milioni, oltre a dovere coprire immediatamente un «buco» di altri 300 milioni per decine di partite contabili ritenute irregolari nel conto economico e in quello patrimoniale della Regione e a prevedere ulteriori 460 milioni per equilibrare i conti del 2024.
È un responso drammatico per le casse regionali quello che è arrivato dalla Sezioni riunite della Corte dei Conti che stamani, alla fine dell’udienza pubblica, ha sospeso il giudizio di parifica del rendiconto 2020 pronunciando una sentenza ancora più pesante delle richieste che aveva formulato la Procura contabile, propensa per una parifica parziale. Per Schifani un esordio amaro davanti ai giudici, anche se le partite contabili contestate riguardano l’ex governo di Nello Musumeci, oggi ministro del Mare e della Protezione Civile. I giudici hanno deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta sulla manovra con la quale tre anni fa l’ex governo Musumeci incassò dal Consiglio dei ministri un decreto legislativo per il via libera a spalmare in dieci anni il disavanzo di 2,2 miliardi di euro. Per la Corte dei conti non si poteva fare per due motivi: serviva una legge e non un decreto legislativo e comunque il ripiano fu fatto prima che fosse approvato lo stesso decreto legislativo. Dunque quella spalmatura andava fatta in tre esercizi finanziari. Del contenzioso adesso se ne occuperà la Corte Costituzionale.
Intanto però il governo Schifani si ritrova a gestire una bella grana: per evitare un «buco» dovrebbe accantonare 866 milioni, pari a due tranche di rientro dal deficit mentre la terza «rata» potrebbe differirla di un anno. Ma in cassa non ci sono questi fondi. Inevitabile allora la richiesta di soccorso al governo ‘amicò di Giorgia Meloni. «Tratteremo subito, basta una norma interpretativa che dia ragione alla Regione siciliana per fare decadere il motivo del contendere», sostiene l’assessore all’Economia, Marco Falcone (Fi). Il governo Schifani sperava di non dovere arrivare a questo punto ma lo aveva messo in conto, tant’è che all’ANSA, pochi minuti prima del pronunciamento della Corte, l’assessore Falcone aveva ammesso: «Se andrà male, abbiamo un piano B ma anche un piano C». «Non ci sentiamo obbligati ad accantonare 866 milioni - afferma Falcone - Il pronunciamento della Corte non è paralizzante. Da lunedì ci confronteremo col Mef e con il Parlamento, a parte la questione disavanzo per il resto aspettiamo di valutare tutte le altre partite contestate dalla Corte, avranno una incidenza ma di sicuro non sarà impattante».
Il timing impone tempi stretti, però. Schifani vorrebbe portare a metà mese in Assemblea la manovra finanziaria 2022 ma deve pure approvare il consuntivo 2021, oltre alle variazioni di bilancio già all’esame delle commissioni parlamentari. Ma se la strada della norma «Salva Sicilia» risultasse più tortuosa del previsto, la soluzione (il piano C) potrebbe essere quella di accelerare la trattative con Roma sui 500-600 milioni chiesti come compensazione alla maggiore spesa sanitaria e di utilizzarli per l’accantonamento a garanzia delle due tranche del disavanzo, incrementate con ulteriori 200-300 milioni recuperati dal «tesoretto» prodotto dalle maggiori entrate erariali di quest’anno e già in cassa. Ma se così fosse, nel prossimo bilancio non solo non ci sarebbe nemmeno un euro per gli investimenti ma sarebbe a rischio la copertura di molte voci di bilancio, con una manovra finanziaria che si annuncia davvero complicata.
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