
Almeno 3 province hanno un rischio frane e inondazioni elevato eppure il tesoro che lo Stato da quasi 10 anni ha messo nelle mani della Regione e dei Comuni per fronteggiare il pericolo è rimasto a lungo nei cassetti. Al punto che prima di poter definire scongiurato il timore di una nuova catastrofe occorreranno almeno altri due anni. Sempre che gli appalti in corso vadano avanti senza intoppi.
In realtà negli ultimi due anni la Regione ha accelerato la pubblicazione di bandi che permettono di investire il tesoretto: e così almeno 500 milioni dei quasi 800 a disposizione oggi viaggiano verso l’assegnazione dell’appalto o vedono già i cantieri aperti. Ma di tempo se n’è perso tanto. E sull’altra quota da investire il problema maggiore della Regione è ottenere dai Comuni progetti in grado di andare in gara.
Mentre i Tg di tutta Italia mostravano ieri le immagini di Ischia o di ciò che ne resta dopo la frana, Maurizio Croce, l’uomo che per conto della Regione sta portando avanti l’operazione prevenzione in Sicilia, ha provato a tracciare un bilancio. Croce è il soggetto attuatore a cui il commissario straordinario per il dissesto idrogeologico (all’epoca Nello Musumeci) ha affidato il tesoro da 795 milioni messo a disposizione dallo Stato durante la legislatura targata Crocetta. Fino al 2015 di progetti se ne sono visti pochi e la maggior parte dei piani di prevenzione di frane e danni da alluvione è rimasta sulla carta. Nella seconda metà della scorsa legislatura c’è stata una accelerazione, dovuta anche al fatto che ben 500 milioni dei 795 provengono dal Fsc: sono finanziamenti statali che, se non impiegati, vanno restituiti entro la fine di quest’anno. Croce però vede il bicchiere mezzo pieno: «Posso assicurare che tutti i 500 milioni del Fsc sono stati impegnati, non perderemo un euro. Significa che siamo riusciti negli ultimi due anni a fare le gare e stiamo aprendo i cantieri».
Fra il 2014 e il 2017 erano stati impegnati appena 28,6 milioni. Dal 2018 a oggi sono andati in gara oltre 250 progetti che permettono di investire quei primi 500 milioni.
Il piano a cui Croce sta lavorando prevede che la maggior parte dei progetti (oltre un centinaio) metta in sicurezza costoni franosi nel Messinese, che è la provincia più a rischio come dimostrano le cronache da Giampilieri in poi. Poi gran parte dei fondi rimanenti finirà nel Palermitano e nel Catanese, dove però gli interventi riguardano per lo più il convogliamento delle acque piovane per evitare allagamenti catastrofici come quello di esattamente un anno fa a Catania o di due anni fa nei sottopassi della circonvallazione di Palermo.
Pochissimi progetti sono arrivati per e dalle altre province, quasi nessuno dal Siracusa e Ragusano: le due aree dove ieri si sono registrati i maggiori danni. «Scontiamo un problema con i Comuni – spiega Croce – che in molti casi non hanno personale per fornirci progetti aggiornati. E ciò ha rallentato anche la nostra azione». Un problema ammesso dall’Anci, l’associazione dei sindaci, che anche per questo motivo l’anno scorso ha individuato vuoti nelle piante organiche per almeno 15 mila posti in tutta la Sicilia.
Il piano di prevenzione marcia così. Anche se la parte principale – spiega ancora Croce – può dirsi avviata e si intravede già il traguardo: «Per completare i progetti per i quali abbiamo impegnato i 500 milioni occorreranno un paio d’anni. Direi che alla fine del 2024 la maggior parte sarà finita». Solo allora le principali aree a rischio saranno state messe, per quanto possibile e prevedibile, in sicurezza. Parallelamente ci sarà da investire gli ultimi 300 milioni circa.
Nel frattempo però la Protezione Civile resta in allerta costante per entrare in azione in caso di emergenza. «Ogni volta che viene diramata una allerta meteo – spiega il capo del dipartimento regionale, Salvo Cocina – entrano subito in funzione i Centri operativi comunali e il Centro di coordinamento provinciale. Significa che l’intero sistema che mette insieme operatori professionisti della Protezione Civile, volontari e tecnici degli enti locali si tiene pronto a intervenire con una semplice chiamata». Si tratta di una macchina che in tutta la Sicilia mette insieme 200 operatori e funzionari della Protezione Civile specializzati nell’intervenire dopo frane o alluvioni, un migliaio di volontari sparsi in ogni Comune più i vigili del fuoco.

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3 Commenti
Mario
28/11/2022 16:10
Il piano antifrane ed antiterremoti lascia il tempo che trova. Perchè secondo fonti accreditate il 95% delle case italiane è edificato su aree instabili per motivi idrogeologici. La quasi totalità dei paesini siciliani è formata da edilizia povera prebellica su terreni argillosi ed instabili. Case non diverse da quelle che sono venute giù come niente nella Valle del Belice. Non c'è nulla da fare. A meno di non ricostruire l'Italia. Inutile prendersi in giro. Il problema non riguarda la Sicilia ma l'intera Italia. Dalle migliaia di case costruite sul Vesuvio a migliaia di case costruite a Genova su quello che è palesemente il letto di un fiume.
Duke
28/11/2022 19:44
Le foto delle tragedie franose italiane, devono stare sulle pareti dei vari uffici, dove si condona a fior di quattrini...o sbaglio...
Pippopa
28/11/2022 22:00
Ricordiamoci dell'abusivismo legalizzato di cui tutto il nord Italia è pieno. Ossia migliaia e migliaia di case e di aziende costruite sotto il livello del letto dei fiumi però autorizzati dai comuni. Questo è un abusivismo legalizzato ma che deve essere perseguito dalla legge. Per non parlare, purtroppo, della tragedia annunciata (non calamità naturale) del cedimento del ghiacciaio della Marmolada (TN e BZ). Cedimento ampiamente prevedibile.