Carmelo Miceli, che da giorni invoca un cambio di passo. L’obiettivo comune adesso è arrivare a un nuovo congresso subito dopo il voto. E per riuscirci nessuno ormai esclude una mozione di sfiducia se all’indomani dello scrutinio non sarà lo stesso Barbagallo a cercare una forma di ricomposizione del partito o una via d’uscita in caso di sconfitta elettorale. Rubino la vede così: «Serve un congresso vero che permetta un confronto sui vari modelli di partito. In ogni caso io dico fin d’ora no ad accrocchi unitari che hanno portato a modelli disastrosi come quello della segreteria Barbagallo». Gli orfiniani e l’area Guerini sperano di aver dalla loro parte anche un pezzo di area Dem, che è proprio la corrente di Barbagallo: almeno quello che si riconosce in Giuseppe Lupo, altro escluso eccellente dalla liste per le Regionali per via di una interpretazione rigorosissima della regola interna che vieta di mettere in lista esponenti sotto processo. Fin qui le possibili convergenze per sgambettare Barbagallo. Uno scenario che ieri la candidata alla presidenza della Regione, Caterina Chinnici, fortemente voluta dal segretario, non ha commentato. Resta però una spaccatura perfino nel fronte ostile a Barbagallo. Perché l’uscita di Cracolici, anche da chi la pensa come lui, è letta come una mossa elettorale, un anticipo dello scontato redde rationem attuato per serrare le file del proprio elettorato. In una partita interna alla lista del Pd che per la prima volta vede Cracolici confrontarsi anche con alcuni suoi storici affluenti elettorali, in primis Franco Ribaudo. Un ampio servzio sul Giornale di Sicilia oggi in edicola.