Stefania Prestigiacomo era a un passo dal traguardo, candidata in pectore del centrodestra alla Presidenza della Regione, forte di un patto di ferro fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Ma la sua investitura è stata bloccata ieri sera dal veto di Fratelli d’Italia: «Non ci si può chiedere di sostenere un candidato che saliva sulla Sea Watch con il Pd» ha tuonato Giorgia Meloni rimettendo in discussione una manovra che nel pomeriggio sembrava ormai definita. Quando alle 13 di ieri il leghista Nino Minardo ha annunciato il proprio passo indietro nella corsa a Palazzo d’Orleans davanti alla Prestigiacomo c’era un’autostrada spianata. Che è diventata perfino in discesa alle 17, quando Nello Musumeci ha ritirato la propria candidatura. Poi, due ore dopo, il no della leader nazionale del centrodestra. È stata un’altra giornata ad altissima tensione. Preceduta, martedì, da una serie di confronti telefonici che hanno portato già ieri mattina Gianfranco Miccichè a ufficializzare il patto di Forza Italia e Lega: «Salvini e Berlusconi si sono adoperati per trovare la soluzione. Speriamo che anche gli altri alleati dimostrino lo stesso spirito di collaborazione. La nostra candidata Stefania Prestigiacomo è la persona migliore per sfidare i mille problemi atavici di questa Regione e per gestire con intelligenza ed equilibrio i rapporti con i partiti dell'alleanza». Al di là di un vertice di coalizione, atteso per ieri ma mai convocato, i leader nazionali hanno giocato la partita per la Sicilia in prima persona e dietro le quinte. Berlusconi ha chiuso l’intesa con Salvini, lanciando all’esterno il segnale di un asse ormai consolidato fra Lega e Forza Italia che in Sicilia, ma anche sul piano nazionale, ha l’ambizione di bilanciare nel centrodestra il peso enorme della Meloni.
Il passo indietro di Minardo
E così alle 13 Nino Minardo, il segretario leghista in Sicilia, ha ufficializzato il suo passo indietro. Già nell’aria dal giorno prima, per la verità. Minardo ha parlato di «gesto di responsabilità per fare sintesi con la proposta di Forza Italia». Ha ricordato che anche per iniziativa della Lega erano già caduti i veti reciproci da parte di tutti i partiti. È stato un modo per annunciare che i dubbi e i rancori della Lega sulle posizioni critiche verso Salvini che la Prestigiacomo aveva assunto nel 2019 nei giorni dell’emergenza migranti, quando salì a bordo delle navi che l’allora ministro degli Interni non volle fare attraccare, erano stati archiviati. E così facendo Minardo ha isolato Fratelli d’Italia, che proprio sul no di Salvini aveva scommesso per sbarrare la strada alla Prestigiacomo e tenere in pista Musumeci. Ancora a ora di pranzo Ignazio La Russa, l’uomo a cui la Meloni ha affidato il fascicolo Sicilia, ha provato a rompere il patto fra forzisti e leghisti criticando «gli annunci a mezzo stampa» e continuando a proporre Musumeci: «Giorgia Meloni non si farà imporre nomi, la scelta va condivisa». Ma nel frattempo la macchina elettorale era già partita e la Prestigiacomo ha iniziato raccogliere i primi consensi dei big leghisti, da Luca Sammartino a Vincenzo Figuccia che dopo aver lodato il gesto di responsabilità di Minardo invocavano già il tavolo per il programma. Nel primo pomeriggio Miccichè ha tentato ancora di strappare a Fratelli d’Italia un sì pubblico alla Prestigiacomo: «È legittimo che il partito possa riflettere. Attendiamo fiduciosi che maturino certi convincimenti, anche perché l’alternativa sarebbe solo la rottura del centrodestra». Ma anche in questo caso molto si muoveva dietro le quinte. Gli ultimi tentativi di Fratelli d’Italia di ribaltare il gioco si sono infranti di fronte al no che Micciché ha opposto alla proposta di un ritorno alla presidenza dell’Ars in cambio del sostegno al Musumeci bis. Lasciando così armi spuntate agli uomini della Meloni. Ed è stato allora, erano da poco passate le 17, che anche Musumeci ha annunciato il suo ritiro: «Basta con questo interminabile mercato nero dei nomi. Cercatevi un candidato che risponda alle vostre esigenze. Mi rendo conto di essere un presidente scomodo. Ringrazio Giorgia Meloni e Ignazio La Russa per il convinto e tenace sostegno. Torno a fare il militante». Parole che l’ormai ex presidente ha di nuovo affidato ai social e che tradiscono l’irritazione per come si è evoluta la trattativa nelle ultime 24 ore, a cominciare dalla cancellazione del vertice in cui il confronto sarebbe dovuto avvenire faccia a faccia.
L'irritazione di La Russa
L’irritazione è evidente anche nelle parole con cui La Russa ha commentato il passo indietro di Musumeci: «La coalizione dovrà ora scegliere un candidato che abbia la fiducia di tutti i partiti del centrodestra, compresi autonomisti e centristi. Evidentemente in tutta questa situazione si è più badato a... meglio non dir nulla...». Fratelli d’Italia è rimasta fino a sera sulla proposta di un Musumeci bis. «Invocando» un no alla Prestigiacomo anche da parte di Udc, Mpa e centristi che della Meloni hanno bisogno per assicurarsi i seggi a Roma. E impedendo così di dare il crisma dell’ufficialità alla candidatura della Prestigiacomo. Che per Forza Italia è però ormai sdoganata. Come certifica il plauso del capogruppo all’Ars Tommaso Calderone e della parlamentare nazionale messinese Matilde Siracusano: «È la candidata ideale».
La partita resta aperta
Ma la partita è tutt’altro che conclusa. Fratelli d’Italia contesta tutto e spara ad alzo zero contro gli alleati: «Non ci hanno ancora fatto capire per quale ragione Forza Italia pretenda di esprimere il candidato in Sicilia dove non è più il primo partito e tenuto conto che esprime già i presidenti di diverse altre regioni, sicuramente molti di più di Fratelli d'Italia» ha attaccato La Russa. Che poi ha stroncato la Prestigiacomo: «Per la sua presenza con l'onorevole di estrema sinistra Fratoianni sulla Sea Watch nella vicenda dello sbarco dei clandestini che costò l'imputazione a Salvini risulta essere sicuramente la meno indicata a rappresentare tutto il centrodestra». La Russa ha ricordato che «le stesse cose fino a ieri sera ce le diceva la Lega» e poi ha definito «farneticanti le minacce di Miccichè che ci intima “o siete d’accordo o rompiamo la coalizione”». Uno scenario però che lo stesso La Russa ha evocato: «O si torna a scelte condivise o la minaccia di Micciché potrebbe diventare realtà». Anche perché su questa linea è proprio la Meloni. Così in poche ore ieri tutto è stato fatto e tutto è stato disfatto.