Dalla politica siciliana a quella romana pronosticando il futuro elettorale tra dimissioni, imboscate, tranelli, personaggi in cerca d’autore e leader futuri. La chiacchierata con Pietrangelo Buttafuoco è pirotecnica come i rumori dell’acquazzone estivo - per la verità quasi un ciclone tropicale con lampi e tuoni degni di un film dell’orrore - che imperversano sulla Villa del Casale di Piazza Armerina, dove il giornalista e scrittore - nato a Catania ma originario di Agira - ha presentato per il BarbablùFest, da lui ideato a due passi da casa, l’adattamento teatrale del suo libro «Il Lupo e la luna», firmato in regia da Valentino Picone con Salvo Piparo come narratore e le musiche di Lello Analfino.
Partiamo dal governo regionale... Musumeci ha rassegnato le dimissioni, si è trattato di una decisione politica? E, secondo lei, deve essere ricandidato oppure è meglio cambiare?
«Onestamente non lo so. L’esigenza di dare le dimissioni è stato solo un atto di natura tecnica per arrivare a questo benedetto election day che farebbe risparmiare un po’ di soldini alle casse dello Stato. Sicuramente è necessario trovare una soluzione che eviti il ritorno in Sicilia del crocettismo. Cioè della pura retorica, questa sarebbe una vera sciagura. Il centrodestra, se vuole vincere, deve sfasciare lo status quo».
E sono in grado di farlo?
«Mi fanno ridere quando fanno i soliti discorsi che il centrodestra non ha una classe dirigente. Ma perché Roberto Speranza è stato un vero ministro della Salute? Già un assessore come Ruggero Razza gli mangiava in testa, è molto meglio. Faccio altri due esempi che non c’entrano nulla con la Sicilia: il sindaco de L’Aquila o quello di Cagliari che sono due personalità di grandissimo livello, pure riconfermati a furor di popolo. In realtà la vera classe dirigente del centrodestra è nei suoi amministratori locali molto più che nei gruppi parlamentari».
Dall’altra parte il centrosinistra ha già scelto un candidato, forse hanno le idee più chiare?
«Caterina Chinnici è come Crocetta. Sono le solite scelte che non fanno bene alla Sicilia. Devi immaginare una sorta di duello rusticano tra la realtà e la retorica che si ripete anche sul palcoscenico nazionale: la sinistra analizza i fatti a seconda di una sceneggiatura costruita a tavolino mettendo tra parentesi il popolo e il consenso, cioè il processo democratico. Ormai la sinistra è soltanto un pretesto per una conversazione tra ricchi e annoiati in cui il desiderio pretende di diventare diritto. C’è solo una fumosa atmosfera, anche in Sicilia non faranno altro che ripetere questo stesso schema».
L’attuale situazione politica siciliana è influenzata da quanto sta accadendo a Roma?
«Il gioco è semplicissimo sia da noi che a livello nazionale. I conservatori, ovvero il centrodestra, considerano il fronte progressista, o il campo largo che dir si voglia, come degli avversari politici. Al contrario la sinistra pensa che gli altri siano un pericolo, un soggetto da cancellare e possibilmente da criminalizzare. È un meccanismo perverso, tutto italiano, assecondato dal sistema, che punta a distruggere quello che dovrebbe essere il regolare confronto civile tra due parti politiche. Stiamo attraverso un momento molto delicato e anche pericoloso perché il deep state, le strutture burocratiche e l’informazione stanno partecipando all’agone elettorale mirando a delegittimare quelli che ai loro occhi sono soltanto dei barbari indegni».
Alle prossime elezioni c’è qualcuno che parte in vantaggio?
«Il centrodestra. Ha blocco di consensi, indipendente dalle tre sigle, nel senso che l’elettore di Forza Italia, di Fratelli d’Italia o della Lega è sempre e comunque orientato a scegliere uno di questi partiti. Ma devono stare attenti a non farsi fregare: dal 2008 ad oggi non c’è più stato un presidente del Consiglio venuto fuori dallo scrutinio ma sono stati nominati, tutti quanti passati attraverso un procedimento che ha consentito al Pd di governare senza prendersi l’incomodo di vincere le elezioni. E non è detto che lo scherzetto non si ripeta anche questa volta: gli italiani sono abituati, abbiamo dato prove di mansuetudine davvero impressionanti».
E i leader avversari?
«Fino a un minuto prima della nomina di Mario Draghi, il partito democratico con Enrico Letta diceva di avere una sola parola e un solo nome, Giuseppe Conte. Che ora è stato degradato a compagno di viaggio di Rocco Casalino e non è più considerato un interlocutore. Sguazzano sul fatto che gli italiani hanno la stessa memoria del pesce rosso dentro la boccia d’acqua».
La Meloni potrebbe essere il primo premier donna?
«La questione non è diventare premier ma essere un capo. Un conto, infatti, è vincere le elezioni, un’altra è comandare. E lei ha dimostrato di saperlo fare. In passato, invece, questo ruolo è stato svolto a metà: Berlusconi, per esempio, partì per mettere in campo la riforma della giustizia per poi infilarsi in un tunnel senza uscita in cui è caduto lui stesso con la legge Severino. Ma se sei al Governo devi andare fino in fondo».