Domenica 22 Dicembre 2024

Pd, Azione e +Europa chiudono l'accordo elettorale, tensioni con Verdi e Si

Enrico Letta e Carlo Calenda

Il Pd e Azione con + Europa hanno raggiunto l’accordo. Dopo giorni di tira e molla, veti e ultimatum, Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova hanno firmato il patto, al termine di una riunione alla Camera durata due ore. Un’intesa «elettorale per essere vincenti nei confronti della destra», ha detto Letta. «Oggi si riapre la partita», ha ribadito Calenda. Sondaggi alla mano, il centrosinistra sa che il centrodestra parte di gran lunga favorito. Per questo, Letta ha sempre cercato di costruire un’alleanza la più larga possible. Dopo l’addio al M5s, reo di non aver votato la fiducia a Draghi, il compagno di viaggio più corteggiato è stato Calenda che, però stava coltivando la tentazione di correre da solo, al centro, in una lista con Più Europa. Il senso dell’alleanza è stato riassunto da Letta: «Non è immaginabile che, dopo Draghi, il Paese passi al governo delle destre e sia guidato da Giorgia Meloni». E Calenda: «L’accordo elettorale riapre la partita. Tutti i punti che avevamo chiesto a Letta sono stati recepiti. I voti di Azione non andranno a chi ha sfiduciato Draghi». Caustico Giuseppe Conte: «Finalmente è finita la telenovela. In bocca al lupo alla nuova ammucchiata». La firma dell’alleanza ha subito prodotto uno smottamento. Da tempo il Pd ha un dialogo anche con Sinistra Italiana e Verdi, che adesso chiedono «di verificare se ancora ci siano le condizioni di un’intesa elettorale». Per Nicola Fratoianni (Si), «l’accordo tra Pd e Azione/+Europa è legittimo ma non vincolante sul tema programmatico». Non piace il richiamo al governo Draghi, che vedeva Si e Verdi all’opposizione, e diversi passaggi, come quello sul via libera ai rigassificatori. Un chiarimento è in programma a breve: Letta incontrerà Fratoianni e Angelo Bonelli (Verdi) domani pomeriggio, al Nazareno. Per la verità, i contatti fra i tre sono frequenti, anche in giornata ce ne sono stati almeno due: uno di prima mattino e uno nel pomeriggio. Le schegge del patto sono arrivate anche più in là. Siccome l’intesa prevede che nessun segretario di partito e nessun fuoriuscito da FI e M5s possa essere candidato nei collegi uninominali, il Pd ha offerto un posto nei listini proporzionali della sua lista Democratici e progressisti «ai leader di partiti e movimenti che entreranno a far parte dell’alleanza»; è il cosiddetto diritto di tribuna. L’opportunità può tentare chi guida forze che rischiano di non il 3% e quindi di non avere eletti. In Transatlantico, sono venuti subito in mente Bruno Tabacci e Luigi Di Maio, fondatori di Impegno civico. E infatti, nel pomeriggio il ministro degli Esteri ha incontrato Letta, seminando scompiglio nei parlamentari che lo hanno seguito nell’uscita dal M5s: «Se accetta il diritto di tribuna ci abbandona e Impegno civico salta», commentava un deputato. Non pare che il Pd abbia fatto l’offerta a Matteo Renzi. Malgrado sia Letta sia Calenda ufficialmente dichiarino che non ci sono veti, il leader di Iv è intenzionato a correre da solo, al centro: l’alleanza fra Pd, Azione e +E «poco ha a che fare con la politica dove si sta insieme se si condividono le idee», ha detto Renzi. Che poi ha chiarito la collocazione di Iv: «Quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio. Noi siamo il vero voto utile». L’intesa fra Calenda, Della Vedova e Letta si è chiusa nelle due ore di colloquio. L’incontro ha anche rischiato di partire col piede sbagliato, quando, prima che iniziasse, al Pd è arrivata una bozza di accordo scritta dalla controparte. Un salto in avanti ritenuto inopportuno dai dem. Poi il colloquio. Fra i punti dell’accordo, la divisione dei seggi uninominali: 70% al Pd e 30% ad Azione +E. Ma su quello l’intesa c’era da giorni. Fra i presenti, c’è chi racconta che l’accelerata sia arrivata quando fra la richiesta di Calenda di non candidare negli uninominali Fratoianni, Di Maio e Bonelli, e l’intenzione del Pd di non mettere veti sui nomi, è stata trovata la soluzione di far fare un passo indietro a tutti i big. «Abbiamo dimostrato tutti grande senso di responsabilità - ha detto Letta - l’Italia vale di più rispetto alle discussioni interne».

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