Mercoledì 18 Dicembre 2024

Braccio di ferro sul catasto, Draghi avverte Salvini: "Il governo va avanti"

Il premier Mario Draghi a Brdo, in Slovenia, per il vertice informale Ue-Balcani occidentali

«Il governo va avanti: l’azione del governo non può seguire il calendario elettorale». Con poche parole, Mario Draghi incasella lo strappo che si è consumato per la decisione di Matteo Salvini di non votare in Consiglio dei ministri la delega fiscale. Il leader della Lega continua a «cannoneggiare» la riforma: legge il testo, nella parte che riguarda il catasto, e ne invoca la cancellazione in Parlamento. «Questa è una patrimoniale», attacca aprendo anche il fronte delle cartelle esattoriali. «No, è un’operazione di trasparenza dopo troppe opacità, questo governo non tocca le case e non alza le tasse, non turba la ripresa con attacchi fiscali», ribatte acuminato Draghi. Che però apre a un chiarimento con il leghista e non sembra vedere crisi di governo all’orizzonte: «Salvini ha detto che la partecipazione al governo non è in discussione, lo vedrò nei prossimi giorni». Ma precisa: l’agenda del governo non è condizionata dalle elezioni. Draghi risponde a una domanda sulla frattura provocata dalla Lega, in una conferenza stampa in Slovenia al termine di un Consiglio Ue informale. Ha in agenda i temi della politica estera europea, ma sa di dover rispondere delle turbolenze del suo governo e accoglie la domanda con un sorriso. Sembra ricondurre la battaglia di Salvini sul catasto a ragioni tutte elettorali, dopo la sconfitta di domenica e in vista dei ballottaggi. Se restare o no in maggioranza, aggiunge, è una scelta del leader leghista. Ma è chiaro che i provvedimenti continueranno ad essere approvati, nonostante le proteste. Negli stessi minuti in cui Angela Merkel gli riconosce di aver già fatto «passi importanti» perché l’Italia sia «economicamente forte», Draghi ricorda al leader leghista (e a tutti gli azionisti di maggioranza) qual è la ragion d’essere del suo governo: «Noi dobbiamo seguire il calendario delle riforme negoziato con la Commissione per il Pnrr e anche le raccomandazioni», tra cui quella di riformare il catasto, rivolte dall’Ue all’Italia. Nel merito della delega fiscale, il premier ribadisce che si deciderà poi, nel 2026, se «far pagare o meno», ma intanto la riforma da lui avviata serve a fare chiarezza in un sistema «opaco». Alla fine, secondo alcuni esperti, «la maggior parte finirebbe per pagare meno», aggiunge. Ma Salvini insiste che si cancelli dalla delega ogni accenno alla revisione, anche futura, degli estimi: prova a spostare la questione in Parlamento, «salvando» l’operazione di emersione degli immobili non censiti e chiedendo la cancellazione del «comma 2 dell’articolo 7, lettere a e b». Ne parlerà a Draghi, quando si vedranno. Ma intanto - ancora silente il ministro Giancarlo Giorgetti, alle prese con tavoli di crisi industriali - incassa l’appoggio dei governatori del Nord sulla necessità di «approfondire» quello specifico aspetto. Basterà a rasserenare il clima in maggioranza? Difficile, secondo gli alleati, che sono sempre più spazientiti dalle continue sortite leghiste. La prima prova si avrà nel Consiglio dei ministri previsto tra poche ore sull'aumento delle capienze, altro tema su cui Salvini torna all’attacco. Il clima «preoccupa» il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, secondo il quale la spinta del governo sulle riforme «è rallentata». Forza Italia continua a difendere la delega fiscale e prende le distanze dall’alleato: «Non comprendo e non condivido», dice Mara Carfagna. E Letta parla di «giochini insopportabili», per coprire lo «smacco» elettorale: il Pd sta con Draghi, mentre il leghista lo definisce «un bugiardo», sottolinea. Tra i Dem c'è chi continua a confidare che si arrivi a un’uscita della Lega dal governo, magari con la nascita di una nuova maggioranza «Ursula» con la sola FI. Ma a dispetto di chi, come Alberto Bagnai, tifa per la linea «di lotta» e accusa Draghi di voler spingere la Lega fuori dalla maggioranza, Salvini sembra voler restare «di lotta e di governo», senza aprire alla svolta moderata auspicata da ministri e governatori: «Escano Letta e Conte se vogliono».

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