Non sarà neanche questa settimana quella giusta per la riforma del fisco: il premier Mario Draghi la vuole portare a casa, e al più presto, e il governo ha cercato di accelerare per presentarla questo giovedì in Consiglio dei ministri. Ma vanno ancora coinvolti i partiti, che poi dovranno lavorare sulla delega in Parlamento, e la sola ipotesi di inserire anche il catasto tra i capitoli da riformare ha spaccato la maggioranza, con Lega e Forza Italia già sulle barricate contro «qualsiasi» intervento sulle tasse sulla casa. Ma è tutto il centrodestra a puntare il dito contro un vero e proprio «affronto al Parlamento», attacca anche Fdi, visto che a fine giugno le commissioni Finanze di Camera e Senato, dopo un lunghissimo ciclo di audizioni nella prima parte dell’anno, hanno prodotto un articolato documento con le proposte (più o meno) condivise per la riforma del fisco e in quelle carte si era accuratamente scelto di non citare nemmeno la questione del valore catastale degli immobili. Il ministero dell’Economia in realtà ha già indicato questa estate l’aggiornamento degli archivi catastali nell’atto di indirizzo alle amministrazioni fiscali per il prossimo triennio. E la revisione degli estimi, in realtà, è da anni in cima alle raccomandazioni di Bruxelles, comprese quelle del 2019 e del 2020 che andavano tenute in considerazione per il Pnrr. Il governo punta a rimettersi il più possibile in linea con le indicazioni comunitarie e la voce «catasto» nel testo dovrebbe rimanere anche se una parte della maggioranza la vede come fumo negli occhi. Per stemperare la polemica politica, però, nel testo che arriverà in Parlamento potrebbe esserci un’indicazione molto generica, che cita il tema ma rinvia «la vera battaglia», osserva più di qualcuno, al dibattito parlamentare sulla delega o ancora più in là a quello sui decreti attuativi. L’intero pacchetto, infatti, non entrerà in vigore prima del 2023: conterrà sicuramente un riferimento alla revisione dell’Irpef, probabilmente con il paletto della progressività e il focus sul ceto medio ma senza indicare in quale direzione riscrivere scaglioni e aliquote. Poi ci saranno una serie di semplificazioni, compresa la costruzione di un Codice unico del contribuente, il rafforzamento della lotta all’evasione collegata al digitale. Su questo punto, in realtà, si potrebbe intervenire in anticipo sulla delega, già in manovra o con un eventuale decreto fiscale collegato, in cui inserire anche, magari, l’estensione della fatturazione elettronica ai forfettari (serve l’autorizzazione di Bruxelles con cui sarebbero già in corso delle interlocuzioni). Per chiudere sulla delega bisognerà anche decidere da un lato quante sono le risorse disponibili dal 2023 in poi e dall’altro come utilizzare, nel frattempo, i 2,3 miliardi già a bilancio proprio per il taglio delle tasse. Anche su questo i partiti hanno idee opposte: Italia Viva, come ripete il presidente della commissione Finanze della Camera Luigi Marattin, sponsorizza la cancellazione dell’Irap per gli autonomi (che sarebbe assorbita nell’Ires per il resto delle imprese) mentre Leu e Pd spingono per il taglio del cuneo fiscale. Un’idea - che non vedrebbe contraria la Lega - potrebbe essere quella di cancellare il Cuaf, il contributo che pagano i datori di lavoro per finanziare gli assegni familiari, proprio per accompagnare l’assegno unico per i figli che entrerà a regime dal primo gennaio. «La consideriamo una proposta da valutare con grande attenzione», dice il responsabile economico dem Antonio Misiani. Ma bisognerà valutare «il pacchetto complessivo» osservano da Leu, che pure l'ipotesi non dispiace, perché in questo caso si tratterebbe di una riduzione del costo del lavoro dal lato dei contributi e non di un intervento fiscale.