Draghi aspetta i cinquestelle, ma al tempo stesso pone le basi di quella che sarà la riforma fiscale. Al termine del secondo giro di consultazioni sono i due temi di maggior rilievo. Dal primo dipende la nascita del governo, dal secondo la sua durata.
LA RIFORMA FISCALE
Una riforma del fisco incentrata sul riordino dell'Irpef e con la possibile revisione delle aliquote per eliminare 'scaloni', ma sempre nel segno della progressività. E semplificazione, sfoltendo la 'giungla' delle tax expenditures, la stratificazione di deduzioni e detrazioni che qualcuno definisce 'caramelle' elettorali regalate nel tempo a questa o quella categoria. E' questa la direzione che il Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, avrebbe intenzione di prendere e che si sta delineando man mano che il programma viene discusso nelle consultazioni. Di fatto sarebbe un addio alla flat tax, secondo fonti che sono a conoscenza del dossier nelle mani di Draghi. Bastava rileggersi le raccomandazioni del Fmi o della Commissione europea, o le considerazioni filtrate dalla Banca d'Italia, per capire - secondo le medesime fonti - che l'impostazione europeista di Draghi non prevede soluzioni 'all'americana' come la tassa piatta, che di fatto rinuncia al principio di aliquote più alte al crescere dei redditi. Interpellato sulla flat tax due anni fa, Draghi aveva glissato: "le priorità sono crescita e lavoro, e l'Italia sa molto bene cosa fare". Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, che siede nel Consiglio Bce, sempre nel 2019 nascose con difficoltà alcune perplessità sulla proposta del Governo giallo-verde: "Occorre riflettere sugli effetti redistributivi degli interventi", sulla progressività prevista dalla Costituzione, e sul fatto che chi ha la flat tax la accompagna a "una serie di correttivi". La stessa fonte invita a ridimensionare le attese dalla riforma fiscale di Draghi: le priorità nei prossimi mesi saranno altre, come vaccini e recovery plan. Ma - dice - "è vero che c'è un disperato bisogno di semplificare" il fisco. Proseguendo sull'ampliamento della base imponibile, continuando sul contrasto all'evasione anche con i pagamenti digitali. E mettendo mano alla giungla delle tax expenditures: diritti acquisiti lievitati a centinaia di casistiche differenti, e che sottraggono oltre 300 miliardi di base imponibile. Un campo minato, politicamente. Dove le linee d'azione saranno prudenti. Ma intervenire regalerebbe margini per le aliquote. Draghi avrebbe considerato un sistema alla tedesca, con aliquote tagliate 'su misura' per ciascun contribuente, ma alla fine dovrebbe mantenere gli scaglioni guardando a una riduzione delle aliquote per i redditi medio-bassi: sulle linee della riforma - già finanziata in manovra - dal ministro dell'Economia uscente, Roberto Gualtieri, che peraltro con Draghi è in ottimi rapporti. Draghi potrebbe - come suggerito da Carlo Cottarelli, l'ex mister spending review dato fra i papabili per un posto di rilievo nel Governo nascente - inglobare il 'bonus Renzi' da 80 e poi 100 euro in una riduzione di aliquote per i redditi interessati. E intervenire sul balzo di ben 11 punti percentuali dell'aliquota Irpef che scatta col superamento dei 28.000 euro di imponibile. Magari spezzando quello scalone in due così da rendere più graduale il passaggio. Ci sarebbe molto altro. Semplificare il fisco vorrebbe dire anche mettere mano al regime forfettario al 15% per gli autonomi: ma è un tema, anche questo, politicamente delicato. Draghi, poi, conosce bene le raccomandazioni all'Italia del Fmi e di Bruxelles: l'ultimo Country Report della Commissione Ue sull'Italia dice che "le imposte sul valore aggiunto sono sottoutilizzate a causa dell'ampio ricorso alle aliquote ridotte" e lamenta che "non vi è stato alcun spostamento della pressione fiscale sui beni immobili, né si è avviata una revisione degli obsoleti valori catastali". Ma il tema è una bomba, e Draghi lo sa bene: più probabile che - con un orizzonte di legislatura che non va oltre i due anni - faccia da 'filtro' rassicurando i partner europei e le istituzioni internazionali sulla tenuta del sistema, ma tutelando anche una peculiarità italiana come la forte propensione ad avere immobili di proprietà.
LE CONSULTAZIONI
Il premier incaricato è pronto a riscrivere il capitolo tasse all'insegna della progressività e lo dice a tutte le forze politiche maggiori, dal Pd alla Lega. Il partito di Matteo Salvini, che della tax flat ha fatto una battaglia di bandiera per anni, ora non ne fa una questione di principio: non ci sta ad essere tagliato fuori dal perimetro della maggioranza e perciò dice che l'importante è non alzare le tasse, sulla formula il Capitano è disposto a ragionare in futuro. Ed è il programma per fronteggiare la crisi economica e sociale quello che invece convince di più il Pd. Dal secondo colloquio Nicola Zingaretti esce "molto soddisfatto": una riforma dell'Irpef che faccia perno sulla progressività e dunque tenga conto delle differenze di reddito, l'attenzione al peso delle tasse sul lavoro unite all'impegno a non aumentare la pressione fiscale sulle famiglie e al no netto a qualsiasi tipo di condono sono i pilastri che fanno immaginare di poter governare insieme. Anche con la Lega. "Siamo e rimarremo forze alternative. Il punto è verificare quale perimetro programmatico e parlamentare il governo dovrà avere", dice Zingaretti che lascia questa "valutazione a Draghi". Per qualche ora i riflettori sono puntati proprio sul partito di Matteo Salvini. Parlare di fisco progressivo secondo l'interpretazioni di alcuni vorrebbe dire archiviare la flat tax, cavallo di battaglia leghista da sempre. Unica a scegliere di stare all'opposizione dell'esecutivo, la presidente di FdI Giorgia Meloni lo dice davanti alle telecamere: Draghi la tassa piatta "l'ha esclusa". Quando è il suo turno però il segreteria della Lega rilancia. Nel programma del nuovo governo ci sarà un tavolo per studiare come diminuire le tasse: "per me puoi chiamarla flat tax o Filippo, basta che ci sia", taglia corto. Il suo appoggio c'è ed è netto: "speriamo che nessuno si metta di traverso", dice. Quella che si inaugura è una nuova stagione secondo i vertici leghisti ed in nome di questo cambiamento anche loro virano: voteranno sì in Europa al Recovery, fanno sapere gli europarlamentari a sera.
LE MOSSE DI M5S
Per evitare spaccature nel movimento è sceso in campo direttamente il suo fondatore Beppe Grillo che prova a blindare il nuovo governo. "Draghi è un grillino", dice cercando di evitare che la base M5s arrivi ad un frettoloso no su Rousseau - come in molti temono in queste ore all'interno dei 5 stelle - e che, di conseguenza, si spacchino i gruppi parlamentari al momento della fiducia in Parlamento. Con il rischio che i difficili equilibri del nuovo governo vadano in pezzi, lasciando l'onere di sostenere l'Esecutivo solo al Pd insieme al centrodestra. Il fondatore invita quindi ad aspettare delle parole "pubbliche" da parte del premier incaricato e a decidere solo dopo averle ascoltate: ed è questa la linea su cui spinge a sera dopo essere stato a Roma per incontrare i suoi. Il reddito di cittadinanza e l'ambiente sono battaglie storiche del Movimento e sono anche in cima alla lista dell'ex capo della Bce, rassicura Grillo. Che ora si aspetta che Draghi lo dica apertamente: l'occasione giusta potrebbe essere la dichiarazione al Quirinale dopo lo scioglimento della riserva. Il voto online potrebbe dunque slittare solo di uno o due giorni e tenersi comunque prima del voto di fiducia. In un video su Fb Grillo marca però anche la distanza dalla Lega: racconta di aver posto un veto nel corso del colloquio con Draghi ma di non aver ricevuto risposte definitive. Che si vogliano porre paletti per Matteo Salvini ha dell'"incredibile", non rispettano - dice - il mandato del Capo dello Stato.