Prende corpo l'ipotesi di una "Fase 2" differente per ogni regione. I dati del contagio, infatti, disegnano sempre più un'Italia divisa, un paese dove il coronavirus sembra dilagare in maniera difforme. E dunque per la ripartenza queste divergenze potrebbero pesare. Lo dice chiaramente il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli: "Si può ragionare su una regionalizzazione delle aperture: nelle zone con un numero inferiore di persone positive è più facile valutare la catena dei contatti". Un'ipotesi che fa ben sperare per la Sicilia che è riuscita a contenere il contagio e a limitarne la diffusione a confronto con le regioni del Nord. Ma la possibilità di differenziare le aperture non sta bene al presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha paventato "un'Italia zoppa" se la fase 2 dell'emergenza dovesse cominciare prima in alcune zone e poi in altre. Va da sé che secondo questo principio la regione di gran lunga più colpita - ma anche la più ricca e produttiva - finirebbe per riaprire in un secondo momento rispetto ad altre. Eppure i numeri, con i dati che marcano una diffusione differenziata del contagio, e le considerazioni degli esperti che supportano il governo indicano come possibile la 'ripartenza' tenendo proprio conto del numero dei casi e del trend. L'Istituto superiore di sanità (Iss) sta calcolando l'R0 - l'indice di contagiosità - di tutte le Regioni e nei prossimi giorni lo comunicherà all'esecutivo, prima di renderlo pubblico. Si sa già che alcune regioni, specie del centro-sud, hanno un indice inferiore a 1 (ogni persona contagiata ne infetta meno di una). Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) Franco Locatelli ha detto che al momento l'R0 medio nazionale è 0,8. L'obiettivo è sempre stato portarlo per cominciare sotto l'1 in ogni regione (in Lombardia nel periodo di massimo impatto del Covid 19 era superiore a 3). A due mesi dal primo caso di Covid-19 in Italia, sottolinea anche il fisico Giorgio Sestili, fondatore e curatore della pagina Facebook "Coronavirus -Dati e analisi scientifiche", la situazione nelle regioni italiane risulta essere decisamente eterogenea. In Lombardia si concentra il 36% dei casi e il 51% dei decessi complessivi registrati in Italia. Il 70% dei casi italiani e il 77% decessi si concentrano nelle quattro regioni del Nord più colpite (Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto). Le regioni del Sud "sono riuscite a contenere bene la situazione" osserva l'esperto, al punto che Sicilia, Sardegna, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria registrano meno di 15 casi ogni 10.000 abitanti. Lazio, Molise, Abruzzo e Umbria contano invece meno di 35 casi ogni 10.000 abitanti e tutte le regioni settentrionali più Toscana e Marche hanno oltre 40 casi per ogni 10.000 abitanti. Tutto il Sud in questo momento, comprese le isole e il Molise, mostra un tasso di crescita inferiore alla media nazionale del 2%: sotto il 2% anche Lombardia e Veneto, mentre l'Umbria scende allo 0,3% riportando al momento il risultato migliore a livello nazionale; in Piemonte la crescita è ancora del 3,7% ed è superiore alla media nazionale anche il Lazio con il 2,5% con la Toscana (oltre 2%). Quanto ai tamponi, il Veneto è al primo posto in Italia, con oltre 500 tamponi eseguiti ogni 10.000 abitanti, seguito da Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (più di 350), le altre regioni settentrionali, con Umbria e Abruzzo (oltre 200), Lazio, Sud e isole (meno di 150).