Dopo il terremoto che ha chiuso questa esperienza di governo partono le consultazioni. Ora tocca alle forze politiche portare rapidamente e con chiarezza al Quirinale le proprie determinazioni sull'interruzione della legislatura. O, viceversa, sulla volontà di tentare la strada di un nuovo governo. La strada è stretta e i tempi compressi. Difficile che questa volta il presidente possa concedere la carta degli incarichi esplorativi. Dopo le dimissioni del presidente del Consiglio oggi alle 16 partono le prime consultazioni. Si svolgeranno in due giorni con i big chiamati a salire al Colle domani. Nell'assoluto riserbo del Quirinale di queste ore si possono identificare alcune certezze: Sergio Mattarella accetta le dimissioni di Conte pregandolo di rimanere per gli affari correnti. Verificherà in fretta se tra le forze parlamentari è maggioritario il partito del ritorno al voto o del non voto. Immediatamente dopo il capo dello Stato chiederà alle principali forze politiche se sono disponibili (portando nero su bianco una maggioranza parlamentare) a tentare un nuovo governo. Quindi sarà essenziale che i partiti (ovviamente si parla del Pd e dei Cinque stelle) esprimano il nome di un premier da incaricare per dare corso all'accordo. E' impensabile che Mattarella possa concedere i quasi tre mesi del 2018 per far lievitare una intesa. Al di là della legge di Bilancio che grava sul timing, le condizioni di questa fase politica sono molto diverse da quelle della primavera 2018. Allora si trattava di costruire un governo sulla spinta delle elezioni. Oggi si affronta una crisi agostana di un esecutivo che aveva un'ampia maggioranza parlamentare e che è caduto per la determinazione di una delle due forze dell'alleanza. Chiarezza e rigore, quindi. Mattarella da sempre ha fatto sapere che il presidente della Repubblica non costruisce maggioranze e tantomeno esegue operazioni di sartoria per cucire insieme forze politiche che si respingono. Da oggi chiederà, incalzerà, e ascolterà quanti saliranno allo studio "alla vetrata". Se Pd e M5s gli confermeranno che vogliono tentare il matrimonio dovranno a stretto giro di posta indicargli un nome che abbia chance di dare vita all'accordo. Poi, certo, Mattarella non negherà tempo a chi mostra rigore e chiarezza. Ma sullo sfondo restano, visibili, le elezioni. Già a novembre o a inizio 2020. Naturalmente se il candidato premier dovesse fallire l'operazione di un governo giallo-rosso il presidente formerebbe un governo di garanzia per guidare il Paese al voto. C'è una settimana di tempo per costruire ciò che, ancora in queste ore, a diversi esponenti M5S fa strabuzzare gli occhi: un'alleanza giallo-rossa che releghi, per anni, Matteo Salvini all'opposizione. E' un percorso in salita che al momento vede scettici i due leader, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, per motivi diversi. Il primo, in chiave anti-renziana, propenderebbe per un voto al più presto. Il secondo teme che un'eventuale accordo con i Dem lo releghi a un ruolo di comprimario facendo schizzare, allo stesso tempo, le quotazioni della corrente ortodossa. E poi c'è il nodo Matteo Renzi: "Lui ha il controllo dei di buona parte dei senatori, un accordo con il Pd non può prescindere da lui", è il timore che si respira nel Movimento. Ma i dubbi nel Movimento restano e, non a caso, più di un esponente si interrogava nel pomeriggio su quale fosse il contraccolpo elettorale più dannoso per i pentastellati: se un accordo con il Pd o un ritorno con la Lega. Con una strada, ancora aperta: quella di un governo istituzionale, deciso dal presidente Sergio Mattarella, che porti l'Italia al voto nella primavera del 2020. Già, perché al Senato che si voti in autunno in pochi ci credono. Il resto però, è avvolto nella nebbia. A cominciare dal ruolo di Conte. L'addio dell'"avvocato del popolo" è una delle condizioni che, al momento, avrebbe posto Zingaretti solo per sedersi al tavolo. Dall'altra parte è impossibile che il M5S accetti un premier di area Pd. Rumors parlamentari danno non a caso in salita le quotazioni di Raffaele Cantone ma anche il profilo dell'ex presidente dell'Anac non è certo da considerare vicino al Movimento. E poi c'è il consenso popolare di Conte, sui quali i vertici 5 Stelle vogliono continuare a contare. Ma un Conte-bis ha anche un ulteriore ostacolo: il premier stesso. Chi lo conosce osserva che non sarebbe facile far tornare Conte sui suoi passi inducendolo a rimangiarsi quanto affermato nei mesi scorsi: che dopo la sua esperienza alla presidenza del Consiglio avrebbe tolto il disturbo. E anche fonti di Palazzo Chigi, pur non escludendo un Conte-bis con uno schema diverso da quello giallo-verde, definiscono "assolutamente non scontato" che il professore di diritto accetti l'offerta. Certo, ben diverso sarebbe se una simile proposta abbia il chiaro - sebbene informale - placet del Colle, anche perché i rapporti tra Conte e Mattarella si sono cementati nei mesi.