Lunedì 18 Novembre 2024

Crisi: attesa per Conte e Mattarella, nodo Renzi per il patto M5S-Pd

Una manciata d’ore e, forse, il quadro sarà più chiaro. Ma fino a quando il premier Giuseppe Conte, domani, alle ore 15, al Senato, non prenderà la parola tutti i partiti navigano a vista, muovendosi tra i tatticismi, senza esporsi. E così, alla vigilia di quello che potrebbe essere l’ultimo giorno del governo giallo-verde la situazione è di stallo con il M5S in bilico tra la prospettiva di un voto a novembre e quell'alleanza con il Pd sulla quale pesa come un macigno il nome di Matteo Renzi. Con il presidente Sergio Mattarella che, per i prossimi passaggi, chiede responsabilità e rigore e una chiarezza di prospettiva. Non saranno ammessi altri tatticismi visto che uno dei due alleati ha rotto l’esperienza di un governo giovane annunciando una mozione di sfiducia al proprio premier, seppur poi congelata. Conte ha passato le ore che precedono il suo intervento a Palazzo Madama nel suo ufficio, a Palazzo Chigi, limando un discorso che, in ogni caso, sarà molto duro nei confronti di Matteo Salvini. Conte riallaccerà, davanti ai senatori e allo stesso Salvini, i fili di una crisi che è stato il leader della Lega a innescare. Diversi potrebbero essere i riferimenti alla responsabilità dell’Italia sui conti pubblici (con la manovra attesa in autunno) e a un rapporto con l’Europa sul quale il capo del governo si è costruito una sua autonomia divergendo, spesso e volentieri, dalla linea salviniana sia sull'economia che sull'immigrazione. Il premier potrebbe non fare sconti su tutte quelle «slabbrature istituzionali» che hanno segnato, a suo parere, gli ultimi mesi del rapporto con il suo vice. Resta tuttavia un’incognita: se Conte annuncerà le sue dimissioni già in Aula o si limiterà a recarsi al Quirinale subito dopo. Immediato sarebbe l’avvio delle consultazioni già mercoledì. Poco probabile, invece, che il premier chieda un voto di fiducia all’Aula: in questo caso, infatti, darebbe il là a Salvini per una conferma della fiducia nel governo che complicherebbe ulteriormente la situazione dell’esecutivo. Non solo. In vista di un possibile accordo con il Pd non sarebbe opportuno, per il premier, dare spazio alle dichiarazioni di sfiducia, già annunciate da Matteo Renzi, dei senatori Dem nei confronti del capo del governo. A fianco a Conte ci saranno tutti i ministri del M5S. Ed è plastico, in queste ore, l’endorsement del Movimento al premier. Anche perché, si ragiona tra i pentastellati, un eventuale governo con il Pd nello schema di Luigi Di Maio prevede che, al momento, che a Palazzo Chigi non ci sia nessun altro che Conte. Intanto Di Maio, dopo aver fatto il punto sulla situazione economica con il titolare del Mef Giovanni Tria, riunisce i gruppi M5S e, ai parlamentari pentastellati, non risparmia attacchi al suo quasi ex alleato. «Non si sa cosa sia successo tra un mojito e l’altro. Hanno aperto una crisi in spiaggia e ora Salvini è disperato», afferma il vicepremier ai gruppi non anticipando nulla dei possibili passi da fare da domani in poi, con un’ipotesi che al momento non si può escludere anche se è remota: che M5S e Lega tornino ad una nuova alleanza. Di certo, su un punto Di Maio è netto: «Un governo con Renzi-Boschi-Lotti è solo una bufala della Lega», attacca consapevole che il suo interlocutore non potrà che essere uno alla luce del sole: il segretario Zingaretti. E gli attacchi di Salvini (che domani riunisce i parlamentari alle 12) non a caso, in queste ore sono martellanti. «I giochi di potere e di palazzo, sulla pelle delle mamme di Bibbiano e dei risparmiatori di Banca Etruria, sono il vergognoso tradimento del popolo italiano», sottolinea il vicepremier. L’attesa, nel frattempo, riguarda anche Pd e FI. Nicola Zingaretti, ancora prudente sul dialogo con il M5S, avverte: «o nel corso delle consultazioni si verificano le condizioni per un governo forte e di rinnovamento anche nei contenuti o è meglio il voto», spiega il segretario Dem mentre Renzi insiste: «a me interessa soltanto che ci sia un governo». FI, invece, ribolle, divisa tra chi guarda con decisione crescente alla Lega e chi, come Mara Carfagna, non ha mai nascosto il suo malcontento per un accordo con il Carroccio dettato, di fatto, da Salvini.

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