Un compromesso finale con l’Ue sulla procedura per deficit eccessivo, magari quando il vertice dei leader europei dirà la parola finale sul meccanismo avviato dalla Commissione europea: è questa la soluzione al nuovo braccio di ferro con l’Europa a cui lavora il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Ma per il momento fra Roma e Bruxelles la distanza resta ampia, tanto che il Comitato economico e finanziario appoggia la decisione di Bruxelles.
E il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, avverte: l'Italia rischia, è un problema serio. «E' nel nostro interesse trovare un compromesso» con un atteggiamento «costruttivo» per evitare la procedura di infrazione, dice il ministro durante la sua informativa parlamentare. Un «ragionevole punto d’incontro», quello evocato da Tria, che parla tanto ai partner europei, con cui ci sarà un confronto giovedì e venerdì all’Eurogruppo e all’Ecofin, quanto ai mal di pancia nella maggioranza. Si farà il punto su cosa fare nel 'vertice di domani mattina con il premier Giuseppe Conte e i due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Ma la strada appare in salita, visto che non c'è traccia di una correzione di rotta fra i rappresentanti dei due partiti di maggioranza: «la Flat tax dovrà esser parte fondamentale della manovra», dice Salvini. Di Maio è convinto che nell’Ue «non andranno fino in fondo» e che l’obiettivo italiano non sia «andare contro l'Unione europea, ma abbassare le tasse e migliorare le condizioni degli italiani» con «prese di posizione ferme».
Il deficit, secondo il ministro, punterebbe quest’anno al 2,2%, con un miglioramento del saldo strutturale di 0,1 punti percentuali di Pil in «sostanziale rispetto» delle regole. A Bruxelles non la vedono così: fra il 2018 e 2019, la deviazione strutturale del deficit italiano, che rischia di mettere le ali al debito, è di uno 0,4% di Pil: circa sette miliardi. E solo per il 2018 ballano circa tre miliardi, che potrebbero dover essere congelati dai programmi di spesa per quest’anno, oltre ai due miliardi già bloccati dalla manovra 2019. Per non parlare della prossima manovra, che presenterebbe un conto da oltre 40 miliardi.
Ecco perché gli sherpa dei ministri delle finanze dell’Eurozona (Eurogruppo) e Ue (Ecofin), con inusitata celerità, oggi hanno fatto fare alla procedura d’infrazione contro l’Italia un passo avanti, appoggiandola senza far riferimento, come nello scorso dicembre, a una trattativa in corso. Tria auspica che ci sia comunque l’invito al dialogo alla Commissione, che ora preparerà la vera e propria raccomandazione a multare l’Italia. E ricorda che «la decisione finale verrà in ogni caso rimessa al Consiglio dell’Unione europea» di fine giugno. Fra le righe della sua informativa si legge anche un’apertura un pò più concreta alle richieste europee: «Il Governo monitora costantemente l’andamento dei conti pubblici» e intende «adottare tutte le cautele e le iniziative funzionali» agli obiettivi di saldo strutturale.
E’ qui che un compromesso potrebbe scongiurare una procedura che ingabbierebbe i conti italiani per almeno un quinquennio. Ma a Bruxelles chiedono misure concrete: «questo problema dell’Italia è un problema serio», avverte Juncker. «Non voglio umiliare la Repubblica italiana con dichiarazioni pubbliche» ma "riteniamo che si stia muovendo in una direzione sbagliata», il Paese «rischia di essere nei prossimi anni nella procedura" anche se «non è ancora» una minaccia alla stabilità finanziaria. Parole che trovano la replica del premier Giuseppe Conte: "all’amico Juncker quando dice che sbagliamo direzione rispondo che ha sbagliato lui direzione sulla Grecia». Ma che in realtà sono rivolte a chi, nella maggioranza, rema contro il compromesso cui lavora Tria: come il leghista Claudio Borghi, che invita il ministro a non fare alcuna manovra correttiva che sarebbe «una umiliazione formale» in cui «dobbiamo farci vedere inginocchiati a consegnare un qualche tipo di obolo». O il collega del Senato Alberto Bagnai, possibile futuro ministro agli Affari europei che evoca una «ottusa e subalterna adesione a regole cui nessuno crede più». (ANSA).