«Santità, La prego dal profondo del cuore di interrompere il processo di beatificazione di mio padre Aldo Moro, sempre che non sia invece possibile riportarlo nei binari giuridici delle norme ecclesiastiche. Perché è contro la verità e la dignità della persona che tale processo sia stato trasformato, da estranei alla vicenda, in una specie di guerra tra bande per appropriarsi della beatificazione stessa strumentalizzandola a proprio favore». E’ l’appello che Maria Fida Moro ha fatto a Papa Francesco, in una lettera da lei stessa letta in un video postato sul web. Aldo Moro è stato proclamato «servo di Dio» (il primo passo verso la beatificazione) il 16 luglio 2012. Già nell’aprile del 2015 si erano avute delle proteste di «ingerenze» da parte dell’allora postulatore, l’avvocato Nicola Giampaolo. Nel 2018 al postulatore generale dei Domenicani, padre Gianni Festa, era stato affidato l’incarico di occuparsi del processo di beatificazione di Moro (che era un laico domenicano). Il religioso aveva precisato che per si trattava ancora di una fase iniziale del «processo». «A me risulta - spiega la figlia dello statista ucciso 41 anni fa dalle Brigate Rosse - che il postulatore legittimo sia Nicola Giampaolo al quale ho consegnato due denunce, che sono state protocollate ed inserite nella documentazione della causa nonché inoltrate per via gerarchica a chi di dovere. Ma non ho avuto alcuna risposta e sono passati anni. Nell’ambito dello stesso processo ci sono delle infiltrazioni anomale e ributtanti da parte di persone alle quali non interessa altro che il proprio tornaconto e per questo motivo intendono fare propria e gestire la beatificazione per ambizione di potere. Poi è spuntato un ulteriore postulatore non si sa a quale titolo. Vorrei proprio che la Chiesa facesse chiarezza nella forma e nel merito». «Mio padre - prosegue la lettera-appello è stato tradito, rapito, tenuto prigioniero ed ucciso sotto tortura. Dal 9 maggio di 41 anni fa è cominciato il business della morte e lo sciacallaggio continuativo per sfruttare il suo nome a fini indebiti. Mi viene in mente la scena, narrata nei Vangeli, dei soldati romani che si giocavano a dadi, ai piedi della Croce, il possesso della tunica di Gesù tessuta in un solo pezzo. I soldati erano, in qualche misura, inconsapevoli di quanto stavano facendo invece costoro sanno di compiere un’azione abbietta e lo fanno ugualmente in piena coscienza». «Il mio nome significa fede e sono assolutamente certa della Comunione dei Santi e della vita eterna. E so che mio padre è in salvo per sempre nella perfetta letizia dell’eternità e nessuna bruttura può ferirlo. Ma preferire mille volte che non fosse proclamato Santo - tanto lo è - se questo deve essere il prezzo: una viscida guerra fatta falsamente in nome della verità. Paolo VI descriveva mio padre così: uomo «buono, mite, giusto, innocente ed amico». Regali, se può, a mio figlio Luca ed a me una giornata di pace in mezzo alla straordinaria amarezza di una non vita. Che il Signore la benedica. Mio padre, dal luogo luminoso in cui si trova ora, saprà come ringraziarla. Sono mortificata di aver dovuto disturbare Lei. Con rispettoso ossequio, stima e gratitudine», conclude Maria Fida Moro. (ANSA).