Lunedì 11 marzo partiranno gli «avis de marchés», gli «inviti a presentare la candidatura», per i primi tre lotti, in territorio francese, per scavare 45 chilometri del tunnel di base della Tav. Entro sei mesi saranno revocabili. Ecco i due pilastri della mediazione siglata da Giuseppe Conte sulla Tav.
Una mossa - giocata sul piano giuridico e lessicale - che evita, per ora, la crisi di governo perché permette sia alla Lega che al M5s di cantare vittoria. «I bandi partono», dice il partito di Matteo Salvini. «Partiranno tra sei mesi solo se ci sarà l’ok italiano a un’opera in toto ridiscussa», ribattono dal Movimento di Luigi Di Maio. «Decidono di non decidere», attacca Forza Italia.
Lo scontro è rinviato. È uno scambio di lettere tra Conte e i vertici di Telt, la società italo-francese che realizza l’opera, a sbloccare il via libera del Movimento 5 Stelle alle deliberazioni del Cda di Telt in programma per lunedì. «Non ci condizionano le pressioni opache di gruppi di potere», scrive Conte nel pubblicare su Facebook le due missive. E agli elettori spiega che «i capitolati di gara» di Telt non partiranno «senza l’avallo» dei governi italiano e francese: per ora si svolgeranno «mere attività preliminari, senza alcun impegno per il nostro Stato».
L'obiettivo, spiega il premier, è «ridiscutere integralmente» l'opera: il suo «interesse pubblico non appare affatto scontato». C'è «l'intenzione di interloquire con la Francia e l'Ue», senza nel frattempo perdere i finanziamenti europei. Il punto, confermano il presidente e l’ad di Telt Hubert du Mesnil e Mario Virano, è non perdere 300 milioni di fondi Ue: per farlo bisogna «pubblicare» gli «avis de marches» entro la fine di marzo (in caso contrario, sottolineano, i membri del cda di Telt rischiano responsabilità per danno erariale). Partono così gli «avvisi» (scelta lessicale non casuale, presa dal diritto francese) che rappresentano il primo step dei bandi per 45 km di tunnel di base «in territorio francese».
Telt - che ricorda di averlo già comunicato ai ministri dei Trasporti di Roma e Parigi a dicembre e febbraio - precisa che per fare partire i capitolati di gara, tra sei mesi, servirà «l'avallo dei governi» e che negli inviti alle aziende a presentare candidature sarà indicata la facoltà di recesso senza oneri. Cosa vuol dire tutto ciò? Qui le versioni di M5s e Lega divergono. Armando Siri, sottosegretario leghista, ricorda che la mediazione era da tempo sul tavolo del governo e che è fatto "salvo» il finanziamento dell’opera. I bandi partono e alla fine l'opera si farà: ostentano tranquillità dal partito di Salvini, tenendo però i toni bassi con gli alleati.
«Non vince o perde nessuno, la Lega governa perché vincano gli italiani», dice sibillino Salvini. E a verbale lascia le parole pronunciate prima dell’ok M5s all’intesa: «Non ci sarà crisi di governo» ma la Lega farà «di tutto» per far partire l’opera magari facendo votare il Parlamento o i piemontesi in un referendum. Nel M5s parte invece un fuoco di fila di dichiarazioni, per vantare quello che anche da Palazzo Chigi descrivono come un "rinvio» dei bandi. «Abbiamo ottenuto un grande successo e il rispetto del contratto di governo: il governo va avanti», dice Di Maio, che declassa a «folklore» la crisi di governo ventilata da Salvini in caso di stop ai bandi. Da Torino Chiara Appendino (la sua maggioranza non reggerebbe il Sì) si dice «felice» della soluzione.
«Salvini ha aderito alle posizioni del M5s», arriva a dire Stefano Patuanelli (la Lega sceglie di non replicare). Ma Roberto Fico ricorda che il No «è una battaglia identitaria del Movimento». Come dire: la linea resta lo stop all’opera. Ma intanto, denunciano le opposizioni, la scelta è rinviata. Dal Pd Sergio Chiamparino parla di «repubblica delle banane» e Graziano Delrio di un sostanziale stop alla Tav. Durissimi Fdi, che parla di «resa» leghista e Fi, che accusa Conte di «codardia» e «squallore».
«Raccoglieremo le firme per il referendum», annuncia Antonio Tajani. Intanto già si vede in lontananza il prossimo teatro di battaglia: Lega e Cinque stelle dovranno affrontare il voto sulla Diciotti previsto per il 20 marzo in Senato e la sfiducia al ministro Toninelli dopo sole 24 ore.
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