La sfida sulla manovra entra nella sua fase cruciale. I 5 stelle alzano l'asticella, Luigi Di Maio vuole mantenere le promesse fatte agli italiani e per reperire risorse il M5s vuole che il Tesoro alzi il rapporto deficit/Pil ben al di sopra di quanto ipotizzato in questi giorni sforando al rialzo la soglia psicologia del 2%. E cerca di portare dalla sua anche la Lega, inizialmente scettica, ma poi sempre più dialogante, verso una forzatura così netta che potrebbe far saltare gli equilibri nel governo, con il Tesoro sempre più sotto pressione. Un quadro che ha messo il Quirinale in una situazione di alta vigilanza. Il presidente del Consiglio, impegnato all'Assemblea generale dell'Onu, segue gli sviluppi romani alla ricerca di un equilibrio che tenga in carreggiata il Governo e mette sul tavolo tre diverse opzioni. Tria non molla la sua linea del Piave del 2% e invia segnali precisi ai due vicepremier, segnali che qualcuno in Parlamento interpreta anche come l'intenzione di arrivare anche alle estreme conseguenze delle dimissioni. La tensione è altissima: il consiglio dei ministri non viene ancora confermato e Di Maio reclama un nuovo vertice di governo. L'urgenza per il M5s è anche quella di fare più di un passo in avanti non solo per contrastare l'avanzata della Lega ma per tenere a freno l'insofferenza che monta in queste di fronte alla debolezza delle risposte offerte ai cittadini di Genova, con gli sfollati che minacciano di arrivare a manifestare proprio sotto casa di Beppe Grillo. Sarebbe un'affronto che il capo politico M5s non può consentire ed anche per questo convoca per domani una riunione congiunta dei parlamentari non solo per informarli sulla manovra ma per convincerli a rimettersi al lavoro per riallacciare subito un filo diretto con i territori. "Non mi inquieto, un decimale in più o in meno non è un problema", è il ragionamento che fa in queste ore Giuseppe Conte ostentando tranquillità a dispetto dello scontro senza precedenti in corso in Italia. Il premier da New York è in continuo contatto con Roma, in particolare con Di Maio, il filo è continuo: anche martedì sera il premier era informato dei toni di battaglia che il leader M5s ha usato nella riunione con i ministri pentastellati. Il compromesso individuato era fissare l'asticella all'1,9% e poi trattare qualche decimale in più nell'iter parlamentare della manovra. Ma dopo il niet di Di Maio anche la mediazione di Conte sembra orientarsi in un'altra direzione: convincere Tria a sposare da subito un'altra percentuale di deficit, poco sopra il 2% (ma non il 2,4% che porterebbe a una bocciatura automatica dell'Ue), giustificando i decimali in più come spesa per investimenti. Non a caso il premier annuncia "un piano per le infrastrutture". L'Ue, è il ragionamento di fonti pentastellate, non può permettersi in questa fase di pre-campagna elettorale, con i sovranisti alle porte, di bocciare uno sforamento ragionevole sotto il 3%. C'è infine l'ipotesi di una terza via, che ricorda il precedente del governo Renzi nel 2016: indicare nel Def la percentuale dell'1,9% e poi alzarla già con la risoluzione parlamentare al Def. Ma la terza via 'renziana' potrebbe non bastare al leader M5s e anche i suoi collaboratori giudicano questa via "molto ardita tecnicamente".