La gara Ilva vinta da ArcelorMittal non si annulla, ma si apre uno scontro politico dopo la pubblicazione del parere dell’Avvocatura. Il vicepremier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, chiude infatti formalmente il procedimento avviato sulla gara di aggiudicazione del siderurgico disponendo «di non procedere all’annullamento».
E, contestualmente pubblica sul sito del Mise il parere richiesto all’Avvocatura generale dello Stato sulla procedura della stessa. E’ la gara con cui a giugno 2017 l’Ilva è andata alla società Am Investco Italy guidata da ArcelorMittal, con i decreti dell’allora ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Con cui si accende lo scontro sull' 'eccesso di potere': per Di Maio nella gara «c'è stato». Calenda respinge al mittente: «in un paese serio un ministro che distorce un parere istituzionale si dimette».
Al centro della vicenda, accanto ad Am, c'è AcciaItalia, allora l’altra cordata contendente dell’Ilva (oggi di fatto sciolta) e il rilancio dell’offerta non valutato. La mancata regolamentazione delle fasi di rilancio, si legge nel parere, "può assumere rilievo quale elemento sintomatico della figura di eccesso di potere (sotto il profilo del non corretto perseguimento del fine pubblico e dello sviamento), anch’essa rilevante per integrare uno dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela», richiesti dalla legge. In sostanza, i presupposti per l’annullamento d’ufficio sono l’illegittimità dell’atto e l’interesse pubblico concreto e attuale ad annullarlo. Quest’ultimo, per Di Maio, con l’accordo sindacale ed i nuovi impegni migliorativi assunti da ArcelorMittal non si è realizzato. L’illegittimità, sempre per Di Maio, invece «è riscontrabile nel vizio di eccesso di potere».
«C'è stato un 'eccesso di poterè ma a termini di legge l'illegittimità dell’atto non è sufficiente per annullarlo" rimarca in un post su Facebook: «l'Avvocatura dice che si può configurare il cosiddetto 'eccesso di poterè nella scelta di non considerare neanche minimamente il rilancio di uno dei due concorrenti. L’obiezione che con la concessione dei rilanci si sarebbe lesa la par condicio dei concorrenti è smontata dall’Avvocatura. C'era la possibilità di valutare i rilanci e dunque offerte migliorative», sottolinea ancora. Dal fronte opposto, Calenda respinge le accuse: «è «chiaro ora perché Di Maio ha tenuto segreto il parere! L’Avvocatura conferma in pieno il parere precedente su rilanci. Eccesso di potere ci sarebbe stato se non si fosse tenuto in conto l’interesse pubblico». Dunque fa «affermazioni molto gravi che non trovano alcun fondamento però nel parere dell’Avvocatura», insiste Calenda.
In un passaggio successivo del parere, l’Avvocatura richiama il ruolo dei commissari Ilva «sulle ragioni che li hanno indotti a non esaminare l’offerta in rilancio di AcciaItalia... in uno squisito apprezzamento di merito» soprattutto riferendosi «alla ritenuta inattendibilità dell’offerta sotto il profilo soggettivo, all’incompatibilità di una fase di rilanci con il termine finale della procedura (fissato dalla legge), alla necessità di porre a confronto non solo l’elemento economico, ma anche i risvolti sanitari, ambientali e occupazionali delle proposte». Si tratta, continua il parere, «di profili di merito riguardanti l’apprezzamento delle offerte e dunque del concreto operare dell’amministrazione, in relazione ai quali si realizza l'esercizio dell’azione amministrativa e che quindi non possono che essere rimessi all’apprezzamento di codesto ministero: estrinsecandosi il vizio di eccesso di potere proprio nel non corretto perseguimento del fine pubblico».
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