Domenica 17 Novembre 2024

Cassa depositi e prestiti, intesa nel governo: Palermo sarà l'amministratore delegato

Cassa depositi e prestiti

La fumata bianca c'è, le scorie restano. Fabrizio Palermo è il nome scelto dal governo come amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti. La discussione è ancora aperta su deleghe e governance complessiva di Cdp. Ma al termine di un lungo braccio di ferro e a un passo dallo strappo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria in un vertice a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, dà il via libera al nome in quota M5s e gradito alla Lega. Tria tiene però il punto sul direttore generale del Tesoro e ottiene che sia il «suo» Alessandro Rivera, a lungo osteggiato dai partiti, a prendersi la poltrona. Alla Lega - ma non è deciso - dovrebbe andare la scelta dell’ad di Ferrovie, che potrebbe essere Giuseppe Bonomi. Placata la bufera, nella serata di ieri, Conte sale al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è di ritorno da una visita di Stato nel Caucaso. Il colloquio, che doveva restare riservato, secondo fonti di Palazzo Chigi non sarebbe stato convocato alla luce delle tensioni nel governo (alle nomine si somma l’indagine a carico del ministro Paolo Savona). In oltre un’ora di colloquio si parla del recente vertice Nato ma anche del decreto milleproroghe, con il nodo aperto delle banche di credito cooperativo: il governo vorrebbe rinviare (per poi modificare) la riforma renziana. Difficile però - notano fonti di maggioranza - che presidente e premier non abbiano fatto cenno al braccio di ferro sulle nomine, al termine di una settimana segnata dal fuoco di sbarramento dei «soci» M5s e Lega alle scelte del ministro Tria, colui che nel governo si è fatto garante della tenuta dei conti. Anche perché - osservano - Cdp è solo il primo tassello di un attacco frontale dei giallo-verdi «all’establishment», che mira allo spoil system in caselle cruciali per la politica economica. Si dimetta chi non è in linea col governo: questo è senso del messaggio. Lo si legge nelle parole di Di Maio, che si duole di "non poter rimuovere» il presidente dell’Inps Tito Boeri. Ma ancor di più in quelle del sottosegretario M5s Stefano Buffagni, che invita Fabrizio Pagani, già braccio destro di Padoan, a "liberare il posto» nel cda di Eni. «Pagani ci tolga dall’imbarazzo. Vorremmo evitare di usare la legge Frattini» che regola lo spoil system «lì come in altre realtà», dice Buffagni. Anche Cdp, che parrebbe tema archiviato, non è ancora chiuso: al presidente Massimo Tononi, scelto dalle fondazioni, potrebbe andare qualche delega di peso. Ma Di Maio ottiene che a guidare la «cassaforte» su cui punta per dossier delicati come Alitalia (e magari Ilva), non vada Dario Scannapieco, voluto da Tria. Il ministro dell’Economia, che per partecipare al vertice a Chigi rinvia la partenza per il G20, rompe il muro gialloverde sul nome di Rivera: pronta da giorni, la delibera di nomina a direttore generale del Tesoro era bloccata dal veto M5s, che lo considera troppo in continuità con la gestione precedente. «Non ci sono stati contrasti», «non abbiamo mai litigato», dicono all’unisono nel pomeriggio Di Maio e Salvini. Il capo M5s nega anche di aver chiesto le dimissioni di Tria. Ma le ruggini restano, rispetto a un ministro dell’Economia considerato da M5s e Lega troppo «autonomo» e «garante dell’establishment». Le tensioni non sono sopite. Non solo Tria deve ancora assegnare le deleghe ai sottosegretari, ma le prossime scelte saranno su Fs (la Lega vorrebbe Bonomi) e Rai. Per la tv pubblica si continua a parlare di presidenza in quota Lega a Giovanna Bianchi Clerici e ad in quota M5s, magari a un interno come Gian Paolo Tagliavia. Ma qui la trattativa tra i partiti è complicata da altre caselle, quelle di direttore dei tg e delle tre reti.

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