ROMA. C'è una lettera di dimissioni firmata da Matteo Renzi all’indomani della debacle elettorale. Lo rivela, tre giorni dopo, il presidente del Pd Matteo Orfini per stoppare il pressing di maggioranza e minoranza del partito, con tanto di documenti di esponenti locali, sulla necessità di un passo indietro «vero» del segretario. L’assemblea che sarà convocata entro un mese deciderà se eleggere un nuovo segretario o indire il congresso. Intanto, precisa Orfini, «lo statuto non consente margini interpretativi né soluzioni creative": resta a guidare il Pd fino all’assemblea il vice Maurizio Martina, spiegano i renziani, come quando si dimise Veltroni e i poteri passarono a Franceschini. Un no netto dunque, ad ora, alla richiesta della minoranza di un organo collegiale per governare questa fase. E così gli animi restano infiammati, la convivenza faticosa. Il tentativo in corso è arrivare in direzione lunedì - alla quale alla fine Renzi potrebbe partecipare - se non a una pace, a una tregua armata. Ma il livello di fiducia reciproca è ai minimi termini e le «truppe» sono pronte alla conta: i renziani assicurano di avere il pieno controllo (circa il 70%) della direzione, gli oppositori sostengono che i singoli (si cita ad esempio il nome di Debora Serracchiani) sono in movimento, la situazione è fluida. Su un punto, per il momento, si trovano tutti formalmente d’accordo: no a un governo con i Cinque stelle. «La mia area e la maggioranza, in tutto il 90% del gruppo dirigente Pd, è contrario», assicura Andrea Orlando, riunendo la sua corrente. E se la presidente dell’Umbria Catiuscia Marini invoca un referendum tra gli iscritti e il presidente della Puglia Michele Emiliano un’apertura a Di Maio, Orlando assicura che sono una minoranza. Anche Carlo Calenda, che prende la tessera Pd e 'lancià la leadership di Paolo Gentiloni, assicura che quella tessera la straccerebbe in caso di intese con il M5s. E si guadagna un duro attacco di Emiliano: "Bisogna liberarsi di quelli come Calenda». Ma, chiosano fonti renziane, per il sostegno a M5s ci vorrebbero almeno 90 deputati Dem, ma su un gruppo di 104, un’ottantina di eletti sarebbero di provata fede renziana: chi volesse votare l’intesa fallirebbe. Diverso il discorso su un’intesa con la destra, ragionano le stesse fonti. Renzi è contrario e anche Orlando dice no, ma servirebbero numeri più bassi e non è escluso che con il passare delle settimane le truppe alla Camera si assottiglino (più difficile al Senato, dove la compagine renziana sarebbe solida). Ma il discorso del governo è di là da venire e la stessa Anna Finocchiaro che nella riunione dell’area Orlando tiene ferma la linea del no a destra e M5s, spiega ai colleghi che in caso di stallo non ci si potrebbe sottrarre in partenza ad ascoltare eventuali altre soluzioni proposte da Sergio Mattarella. Il tema si pone prima, spiegano renziani e non, e riguarda presidenze delle Camere e guida dei gruppi Dem. E’ per questo che la minoranza, ma anche un pezzo di maggioranza, sono in pressing per una gestione collegiale della fase che si apre: servono soluzioni condivise, è la richiesta, passo dopo passo. Ma al dunque, spiegano gli iper-renziani, decidono i numeri. A dimostrare buona volontà si spiega che per i gruppi saranno scelti nomi renziani ma non «pasdaran» (si cita Lorenzo Guerini alla Camera, Teresa Bellanova al Senato). E Maria Elena Boschi si tira fuori dalla partita, smentendo di essere interessata al ruolo di capogruppo o a una vicepresidenza di Montecitorio. Ma il braccio di ferro è destinato a proseguire. E la minoranza non esclude di presentare lunedì in direzione un documento per ottenere che, come vuole anche parte della maggioranza, una 'cabina di regià affianchi Martina. Ad ora il no dei renziani, con i quali si è fatto mediatore Graziano Delrio, è netto. Lunedì, spiegano, potrebbe essere fissata la data dell’assemblea e lì si vedrà se gli oppositori del segretario avranno i numeri per eleggere un nuovo segretario o, come vuole il leader uscente, si faranno le primarie. Renzi, che trascorre la giornata a Firenze e incontra Nardella, assicura di non volersi ricandidare. Si vedrà se correrà, è la sfida, Gentiloni. Di sicuro, affermano, non potrà candidarsi Calenda: si è tesserato solo ora, a norma di statuto non può.