ROMA. Da una parte il leader della coalizione vincente, dall'altra il leader del primo partito: è sfida aperta tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio per attestarsi il diritto a guidare i giochi per la formazione del governo del Paese dopo le nette indicazioni delle urne che hanno chiaramente bocciato l'offerta, anche variegata, che arrivava dal centrosinistra. E soprattutto dal Pd, il cui segretario finisce nell'occhio del ciclone tanto da dovere annunciare le sue dimissioni. Quella tra Salvini e Di Maio è una competizione che lascia sullo sfondo l'ipotesi che al momento nessuno dei due capi politici pare voler prendere realmente in considerazione: l'unione delle forze per dare vita ad una maggioranza "sovranista" tra pentastellati, leghisti e Fratelli d'Italia. I numeri lo consentirebbero sia alla Camera sia al Senato. Ma il segretario del Carroccio, ormai leader del centrodestra per aver raccolto, con il 18%, più voti del partito di Berlusconi (13,9%), non vuole sentir parlare di "coalizioni strane" diverse da quelle del centrodestra che da solo ha già il 36,2%. A chi glielo chiede ripete no per tre volte e scandisce: "La squadra a cui mancano meno numeri per avere la maggioranza alla Camera e al Senato è quella del centrodestra". Silvio Berlusconi è d'accordo con Salvini e anche lui chiede per la coalizione un "mandato" a governare. Giorgia Meloni concorda ("non avrebbe senso un incarico a Luigi Di Maio") e conta già sull'appoggio di qualche 'responsabile': "si può tentare di lavorare sui temi e proposte con singoli parlamentari". Diametralmente opposto il punto di vista dei 5 Stelle. Luigi Di Maio non esclude a priori la Lega dal suo radar ed anzi apre "a tutti i partiti". Ma il candidato premier rivendica il "trionfo" elettorale che, con il 32%, ha portato il M5s ad essere il "vincitore assoluto" di questa tornata alle urne. "Siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche a partire dalle figure di garanzia che vorremo individuare per le presidenze delle due camere ma soprattutto per i temi che dovranno riguardare il programma di lavori", dice lanciando il suo appello promesso in campagna elettorale. L'esito delle urne, affermano i 5 Stelle, ha dato il via ad una "Terza Repubblica", dove a contare non sono gli schieramenti ideologici ma i "grandi temi irrisolti" del Paese. Che il M5s intende risolvere prendendosi la "responsabilità" del governo. "E sono fiducioso, il Presidente saprà guidare questo momento con autorevolezza", dice. Per Di Maio, oltre all'ipotesi Salvini, resta la chance di provare a costruire una maggioranza che guardi a sinistra. E' una strada impervia perché, dato l'esiguo risultato di Leu (3,3%) dovrebbe contare sostanzialmente sui numeri del Pd, ora al 19%, praticamente al livello del Carroccio. Ma mentre Pietro Grasso apre ad un confronto "in Parlamento", Matteo Renzi esclude di voler collaborare quanto mette in chiaro che "il Pd è nato contro i caminetti, non diventerà la stampella di forze antisistema" e che la responsabilità dei dem dovrà essere quella di "stare all'opposizione". Di certo il clamoroso passo indietro annunciato oggi dal segretario dem potrebbe in teoria consentire una convergenza di programma ma la decisione di Renzi di rinviare di fato il suo abbandono a dopo la formazione del governo è un chiaro bastone tra le ruote ad ipotesi di accordo. E in assenza di un impegno politico formale, i numeri per un'intesa sarebbero comunque ballerini. Infine, se i risultati delle urne rendono impossibile un'alleanza Pd-Forza Italia, a M5s e Lega resta da riflettere sulla possibilità di prendere parte ad un governo di larghissime intese. Che sia un governo del presidente o un governo di scopo. Salvini però è netto: "Escludo governi di scopo, a tempo, istituzionali. Non partecipiamo - ribadisce - a governi minestrone".