PALERMO. Dopo l’ottimismo dei primi incontri, ecco gli intoppi che potrebbero allungare di molto la trattativa fra vertici dell’Ars e sindacati per ridurre i maxi compensi dei dipendenti a tempo indeterminato del Parlamento.
Nel momento in cui, stamani, la trattativa è entrata nel vivo i sindacati dei 180 dipendenti hanno opposto tre diverse soluzioni che rischiano di far scivolare alla tarda primavera o all’estate l’esito della trattativa.
Il punto di partenza è l’automatismo con cui dal primo gennaio gli stipendi sono tornati ai livelli del 2014: scaduto l’accordo che aveva introdotto tetti da 240 mila euro per le massime cariche e limiti intermedi per le figure apicali delle varie qualifiche, si è tornato a stipendi che annualmente possono raggiungere in qualche caso i 340 mila euro. Stipendi la cui prima busta paga è già arrivata la settimana scorsa.
Dopo le polemiche e dopo gli appelli dei preti palermitani e della Conferenza episcopale siciliana, il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha avviato le trattative per tornare ai tetti in vigore fino al dicembre scorso. E con questo mandato il capo dei questori dell’Ars, Giorgio Assenza, si era presentato nelle scorse settimane ai sindacati. Che si erano riservati di assumere una posizione ufficiale nell’incontro previsto per stamani.
E le posizioni ufficiali dei sette sindacati interni dell’Ars sono ben tre. «Alcuni - informa la presidenza dell’Ars - concordano con la proposta dell’amministrazione di ripristinare i tetti degli stipendi per i dirigenti e i sottotetti per le altre carriere parlamentari previsti dalla norma scaduta il 31 dicembre. Altri chiedono di non considerare nel computo dello stipendio le indennità variabili di funzione e mansione. Infine, la terza proposta è di aspettare che sulla questione dei tagli si pronuncino il Senato e la Camera».
Se passasse la terza proposta, quella di adeguarsi alle scelte future di Camera e Senato, bisognerebbe attendere l’insediamento del nuovo Parlamento nazionale e poi le decisioni dei due nuovi consigli di presidenza: si scivolerebbe inevitabilmente a maggio (nella migliore delle ipotesi) e nell’attesa i dipendenti dell’Ars continuerebbero a maturare i maxi stipendi.
Se passasse la seconda proposta i tetti di stipendi si abbasserebbero rispetto agli attuali ma non si tornerebbe ai 240 mila in vigore fino al mese scorso. E i dipendenti avrebbero quindi stabilmente degli stipendi superiori rispetto a quelli che si cerca di reintrodurre.
La partita è, come di tutta evidenza, aperta e lunga. Assenza però continua a manifestare ottimismo: «All’incontro hanno partecipato tutte le sigle e siamo soddisfatti, perché quasi tutti i sindacati concordano con noi nella necessità di reintrodurre i tetti. Esamineremo le proposte della controparte».
Il prossimo incontro è previsto per il 7 febbraio
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