FIRENZE. Nel covo del renzismo, la Leopolda che 8 anni fa lanciò la rottamazione e fu il trampolino di lancio della veloce scalata del sindaco di Firenze, Matteo Renzi ritrova l’orgoglio perduto dopo la sconfitta «bruciante» del referendum che però non rinnega. E si scalda per la campagna elettorale verso cui ha fretta di correre: nessun passo indietro sui Mille Giorni, anzi il rilancio sul futuro come sugli «gli 80 euro anche per le famiglie con figli». E se, pur «senza rancore», il solco con gli ex di Mdp è ormai segnato, il leader Pd promette «pari dignità» a chi vorrà allearsi al Pd, in primis Giuliano Pisapia, per una sfida che è, a suo avviso, tutta aperta ed «il testa a testa Berlusconi-Di Maio sarà sul secondo posto».
La Leopolda «non è il Pd», aveva detto in premessa Renzi venerdì sera. Così come fanno capitolo a sè i «leopoldini», un mix di gente comune e professionisti che affolla la stazione e ama le tinte forti, attacchi inclusi. Per questo la vera star dell’ultima giornata, al netto dell’ex premier, è Teresa Bellanova, la viceministro ex sindacalista Cgil diventata pasdaran renziana. E’ lei che infiamma la platea affondando contro la sinistra, «quelli che hanno brindato il 4 dicembre, quelli che pensano di contrastare Berlusconi e i populismi attaccando Renzi senza rendersi conto che così diventano i migliori alleati dei populismi e di Berlusconi!». E con parole diverse, pur evitando gli attacchi, anche l’ex premier chiarisce che non sarà la discontinuità con il passato il filo conduttore del Pd che non prenderà lezioni a sinistra. «La sinistra cambia ogni anno il nemico, certo io sono fuori categoria, ma noi non abbiamo nemici», premette, mostrandosi zen e scatenando le risate della platea.
La sfida elettorale dovrà per il segretario dem poggiare su due pilastri: l’unità del partito, la disponibilità agli alleati ad aprire «una pagina bianca» sul futuro senza negare il passato, e una campagna sulle «differenze ontologiche» sia con Berlusconi, «l'uomo dello spread e della recessione» sia con Di Maio, leader di chi crede nella «decrescita». Nonostante l'assenza dei padri nobili Prodi e Veltroni, che Renzi ringrazia per «lo sforzo di questi giorni», l’unità del Pd è plastica alla Leopolda con la presenza di quasi tutti i ministri, da Minniti a Franceschini, da Delrio a Martina e Pinotti. E con il selfie di Maria Elena Boschi e Luca Lotti sorridenti a spazzare via le illazioni su un giglio magico diviso. Renzi spera che anche la minoranza, oggi assente, abbandoni «la costante polemica» per evitare che le divisioni pesino su sondaggi e consensi. Quanto agli alleati, si aspetta la scelta di Giuliano Pisapia, al quale l'ex premier garantisce il via libera al biotestamento, e, senza affrontare il tema del «garante», si assicura «pari dignità».
Il programma è certo «una pagina da scrivere insieme» ma su alcuni punti le idee sono chiare: la prima proposta sarà il servizio civile obbligatorio, disponibilità a discutere sul soluzioni migliorative del jobs act, «nessuna rivincita» ma anche nessuna abiura. E poi l’Europa dove, nelle parole di oggi, qualcuno ha visto un cambio di passo: stop alla battaglia solitaria sul ritorno ai parametri di Maastricht ma un asse, mentre si rilancia il Pse, con Macron «punto di riferimento se riesce a mettere in discussione una politica economica europea basata sull'austerity». Renzi alza di fatto il sipario sulla corsa alle politiche. Mentre, nello stesso giorno, gli ex compagni di Mdp salpano per "una nuova proposta» e dai «caucus», le 58 assemblee nelle quali 42.000 persone hanno eletto i 1500 delegati dell’assemblea del 2 dicembre, chiamano a gran voce come leader Pietro Grasso.
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