PALERMO. È il bluff dei tagli, che dovevano costituire un sacrificio dei politici in tempi di crisi e che si stanno rivelando un vantaggio per i parlamentari regionali.
Quando fu approvata la riforma dei costi della politica all’Ars, nel 2014, uno dei tagli doveva essere quello della cosiddetta liquidazione dei deputati. Invece con un complicato gioco di incastri fra vecchie norme e percentuali da ridurre, ecco che alla fine i 90 onorevoli ci hanno perfino guadagnato. È così che è maturata la maxi liquidazione che anche i 54 non rieletti il 5 novembre stanno incassando in questi giorni e che costa quasi due milioni alle casse del Parlamento.
Gli assegni che stanno incassando i deputati delle legislatura appena conclusa sono due: ci sono i circa 26.400 euro di liquidazione e gli 11.100 dell’ultimo stipendio maturato malgrado la legislatura sia finita il 5 novembre perchè l’Ars nel frattempo resta formalmente in carica senza alcun compito nè obbligo di riunirsi fino all’insediamento del nuovo Parlamento, previsto per l’11 dicembre. Dunque alla liquidazione i deputati, anche i 54 non rieletti, stanno sommando uno stipendio extra per un totale di 37.400 euro.
Va detto che le cifre non sono uguali per tutti. Alcuni deputati hanno chiesto anticipazioni durante la legislatura, altri sono subentrati in corso d’opera e quindi non hanno maturato tutti gli anni che servono per la liquidazione intera. Altri ancora sottraggono vari contributi previdenziali o diverse aliquote fiscali.
Il punto è però che da qualunque parte la si guardi quest’anno la liquidazione è perfino più conveniente rispetto al 2012, data di scadenza delle legislatura precedente, quando le vecchie regole non risentivano ancora della riforma che ha introdotto i tagli ai costi della politica.
Per capire il (contorto) meccanismo bisogna partire da come funzionava fino alla fine della scorsa legislatura, anno 2012.
A quell’epoca ogni deputato a fine mandato incassava una liquidazione pari all’80% di uno stipendio base lordo che valeva 10.705 euro per ogni anno di presenza in Parlamento. L’80% corrispondeva a 8.564 euro. Per incassare la liquidazione tuttavia a ogni deputato veniva chiesto di accantonare ogni mese il 6,7% dell’indennità di base lorda (cioè circa 717 euro al mese).
Quindi se un deputato era stato 4 anni in Parlamento aveva diritto a 34.256 euro di liquidazione ma ne aveva accantonati praticamente altrettanti. In pratica, tanto accantonavi tanto ti veniva restituito a fine legislatura. Così funzionava fino alla fine del 2013 e così è stata calcolata la liquidazione per la legislaura che si è chiusa nell’ottobre 2012.
Dal primo gennaio del 2014 la regola è cambiata. Ed è questa che ora viene applicata ai 90 che hanno appena terminato la legislatura. Con le nuove regole ogni deputato incassa una liquidazione che è pari a una intera mensilità base lorda (6.600 euro per via dei tagli) moltiplicata per 4 anni (il periodo di validità della riforma, entrata in vigore a gennaio 2014): il totale fa appunto circa 26.400. Ma adesso l’unico sacrificio chiesto ai deputati per incassare la liquidazione è l’accantonamento non più del 6,7% mensile ma di appena l’1% dello stipendio base (diaria esclusa), che equivale a 66 euro al mese.
Significa che ogni anno i deputati della legislatura appena conclusa hanno accantonato 792 euro (che moltiplicato per 4 anni fa 3.168) ma ora ne stanno incassando 26.400. Quindi al netto dei propri accantonamenti stanno incassando circa 23.200 euro extra. A cui poi, come detto, va aggiunto anche l’ultimo stipendio più la diaria (totale 11.100 euro) frutto di questo mese extra di transizione.
La norma che ha modificato le regole per l’erogazione della liquidazione ai deputati (che tecnicamente si chiama assegno di fine mandato) è stata inserita a fine 2013 nel cosiddetto recepimento del decreto Monti, le misure nazionali per tagliare i costi della politica. Ma il testo nazionale è stato modificato, grazie all’autonomia della Regione e del Parlamento siciliano, da un emendamento della commissione appositamente creata e guidata da Riccardo Savona. Il testo originario finito all’esame dell’Ars prevedeva la soppressione secca della liquidazione. Poi però è stato reintrodotto con queste nuove regole dall’emendamento firmato da Savona.
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