ROMA. "A bloccare tutto sono i veti personali: tantissimi contro Matteo Renzi, ma anche quelli di Renzi contro altri". Da "confessore" del centrosinistra, oltre che suo possibile collante, Romano Prodi descrive sconsolato il quadro che lo circonda. Le inimicizie, osserva in un colloquio con il Corriere della sera, sono il vero ostacolo all'unità a sinistra.
Ma il suo ritratto viene stralciato da Giuliano Pisapia e Pier Luigi Bersani: a dividere non sono liti da "comari da ballatoio", sottolinea il leader di Mdp, ma "un problema enorme di sostanza politica". E la divergenza sul cammino da intraprendere apre un solco anche nel Pd: sale la tensione alla vigilia dei ballottaggi.
A riaccendere la miccia è Gianni Cuperlo, che dall'assemblea di Centro democratico a Napoli, cui partecipa con Bersani e Pisapia, rilancia l'idea, sostenuta dalla minoranza orlandiana, di un Pd che si ponga "al servizio di un progetto più ampio". Come? Anche attraverso "primarie di coalizione" per scegliere il leader più in grado di "unire".
Un'idea che viene respinta al mittente come una provocazione dai dirigenti Dem (o forse, sostiene un deputato, un annuncio di nuova scissione). Non si può rimettere in discussione, avverte Lorenzo Guerini, un congresso appena svolto, con primarie "dagli esiti nettissimi" per Renzi. Chi "invoca giustamente l'unità" non può, attacca il coordinatore, andare nei fatti "nella direzione opposta".
Lunedì, invitano alla calma i mediatori del Nazareno, si tornerà a lavorare a un confronto che può dare i suoi frutti. Ma il nuovo appello di Prodi cade nel vuoto e i renziani sono convinti che il pressing di avversari interni ed esterni sia destinato ad aumentare, soprattutto se i ballottaggi andranno male. E potrebbe crescere anche nella maggioranza Dem una fronda per una legge elettorale con premio alla coalizione.
Il prossimo fine settimana occuperà la scena il confronto tra il progetto del Pd renziano, riunito in un'Assemblea dei circoli a Milano, e quello del Campo progressista di Pisapia e di Mdp di Bersani, che saranno in piazza a Roma (presenti anche i Dem Cuperlo, Orlando, Damiano).
Il Pd rivendica di essere perno del centrosinistra e non vuole abbandonare una vocazione maggioritaria, con la scelta ad ora di puntare su un "listone" largo dal centro alla sinistra. Ma Bersani, come già Pisapia, respinge un'idea del genere: "Sarebbe riso e fagioli: in cucina va bene, in politica no". L'ex sindaco di Milano sottolinea che a muovere Campo progressista sono "idee", non "astio personale".
Perciò, spiega, vanno posti "paletti contro le destre, che sono il nemico". E va costruita l'unità attorno a un programma che segni "discontinuità" rispetto agli ultimi anni. Una discontinuità, afferma più tranchant Bersani, "dal renzismo". Ma si torna così al nodo di partenza, perché i renziani difendono a spada tratta il programma "dei Mille giorni". L'unica soluzione, avvertono i pontieri citando Romano Prodi, è eliminare i veti: della sinistra nei confronti di Renzi e del Pd verso gli "scissionisti".
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