ROMA. Un’investitura forte per sfidare il M5S «sul futuro» e rilanciare la battaglia in Europa contro l'austerity. Alla volata finale verso le primarie del 30 aprile, Matteo Renzi scopre le carte che intende giocare per tornare segretario del Pd e poi puntare dritto alle prossime elezioni. L'ex premier, tranquillizzato da sondaggi interni che lo "quotano» al 62-65%, suona la carica per portare quanti più elettori possibile ai gazebo. E già guarda oltre. Oltre le accuse con cui provano a incalzarlo gli sfidanti Andrea Orlando, che denuncia toni «populisti» e il rischio di un Pd fattore di "instabilità», e Michele Emiliano, che dice no al modello renziano dell’uomo solo e ammicca agli elettori grillini. «Chi perde poi non bombardi il quartier generale», avverte Renzi.
Il primo confronto tra i tre candidati avviene dal palco della Convenzione nazionale, evento che lancia il rush finale verso le primarie. In platea c'è - molto applaudito - il premier Paolo Gentiloni, al suo fianco Orlando e Renzi. Emiliano è in ospedale dopo la rottura del tendine di Achille e compare in video, polo blu e flebo alle spalle. La sua corsa è «azzoppata», notano i suoi: si rinviino le primarie. Orlando invita a valutarlo. Ma il renziano Lorenzo Guerini replica che ormai «la macchina è in moto». E lo stesso Emiliano precisa che non si può rinviare. «Io credo nel Pd», aggiunge il governatore, con parole che sembrano escludere un suo addio in caso di sconfitta. E Gentiloni lo rimarca: «Ho sentito Michele molto affezionato al partito».
Insomma, caso chiuso. E aperta la campagna per le primarie. Con un obiettivo comune ai tre candidati: portare tanti a votare ai gazebo o, afferma Orlando, «rischiamo di perdere tutti». «Non faremo le primarie contro Orlando ed Emiliano, ma andremo a sfidare il Paese per non consegnarlo a Grillo e centrodestra», scandisce - in un discorso quasi già da segretario - Renzi, che ha incaricato i suoi di una campagna capillare contro il rischio di bassa affluenza. Più forte sarà la sua investitura - dicono i suoi - più forza avrà lui nel confronto con l’Ue per la prossima manovra e nella partita della legge elettorale. Sull'Ue, «dalle letterine sugli zero virgola" ai migranti ("Bene l’indagine di Latorre su certe Ong"), al fiscal compact ("Metterò veto al suo inserimento nei trattati"), è duro: «Europa sì, ma non così».
L’ex premier rivendica di non essere un «quaquaraquà» ma un "leader che assume la responsabilità della sconfitta». Fa «mea culpa» sul non aver ancora ridotto le tasse sulle famiglie. E sul partito dice che il «popolo» Dem è più avanti dei suoi dirigenti. Ma il discorso è un attacco frontale al M5s: «Hanno lanciato un’Opa sul futuro dell’Italia, ma accettiamo la sfida a viso aperto, non ci fanno paura». E ancora: «Loro sono per la dinastia, con capo Casaleggio, noi per la democrazia. Loro per la paura, noi per la scienza. Loro per l’assistenzialismo, noi per il lavoro». E anche sulla giustizia, «non accettiamo lezioni di onestà: il Pd non deve essere più partito delle procure ma stiamo con i giudici e su Consip aspetto la verità».
Orlando è assai duro con l’ex segretario: «I populisti sono i fascisti 4.0, attenzione a non diventare noi stessi populisti. E poi va bene parlare con Marchionne, ma con gli operai?». Replica Renzi: «Gli operai non ci prendono a calci perché le fabbriche, anche con Marchionne, le abbiamo tenute aperte». Orlando invita il Pd a essere meno duro col governo, meno isolato nel centrosinistra e usare di più la parola uguaglianza. Emiliano insiste su un punto: «Chiudiamo il rapporto difficile con l'elettorato M5s». Ma Renzi è già oltre, alla sfida con Grillo.
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