ROMA. Tra la lealtà ad Alfano e la poltrona di presidente della I commissione al Senato, Salvatore Torrisi sceglie la carica. Si chiude con l'espulsione del senatore da Ap il caso dell'elezione del sostituto di Anna Finocchiaro lasciando, però, l'immagine di una maggioranza sfilacciata con un gioco del cerino tra il Pd e Ap.
Il ministro degli Esteri nega di voler tradire il patto di legislatura e rinvia ai dem l'accusa di "cercare pretesti" per far cadere l'esecutivo. "Non facciamo giochini da prima Repubblica, la parola crisi di governo la lasciamo ad Ap e a Mdp", rinvia al mittente Matteo Renzi che rivendica come suoi i risultati del governo che "va difeso e incoraggiato".
Non ce la fa il ministro degli Esteri a convincere il suo senatore a lasciare l'incarico per il quale con un blitz, ancora non chiaro, è stato eletto ieri alla guida della commissione Affari Costituzionali. In mattinata Torrisi chiede ad Alfano 24 ore per rifletterci poi, poche ore dopo, trae il dado. "Una richiesta inconcepibile, manco il partito comunista sovietico faceva queste cose", non si scompone il senatore dopo che Alfano aveva definito "inconcepibile" la sua permanenza alla presidenza.
Gioco forza, il leader di Ap lo espelle dal vertice del partito. D'altra parte il caso era già stato considerato irrimediabile dal Pd. "Sarà difficile rifare l'elezione in I commissione", dice ai suoi Renzi che non è comunque disposto a relegare l'episodio alle ambizioni di un senatore. "La vicenda della prima Commissione è grave e avrà conseguenze" sostiene l'ex premier per il quale ieri è stato servito al Pd un trabocchetto "da prima Repubblica" non solo dall'opposizione. E la "vendetta" è che da ora il primo partito di maggioranza si metterà a braccia conserte nella ricerca di un'intesa sulla legge elettorale.
"Il fronte del no al referendum, al Mattarellum, all'Italicum, quello che ha votato Torrisi e ora è maggioranza, adesso ci faccia qualche proposta", rilancia la palla l'ex leader Pd. Uno scarico di responsabilità che rende ancora più complicata la possibilità di una riforma della legge elettorale ma che per ora mette al riparo il governo. Renzi assicura con i suoi di non avere alcuna fretta di andare a votare, "dai decreti sulla scuola ai dati Istat abbiamo la conferma che avevamo ragione", motivo per cui invece di creare problemi il Pd deve puntare ad "incassare" i risultati del lavoro di Gentiloni.
Premier che, dal canto suo, dopo aver condiviso le ansie della maggioranza, oggi ha preferito lasciar raffreddare gli animi, rinviando ai prossimi giorni l'incontro con l'ala sinistra, i fuoriusciti di Mdp. Che, come Ap, nega ruoli nel mini-ribaltone avvenuto ieri: "Chi cerca il capro espiatorio conti fino a 16. Il problema è un altro: io consiglierei a chi ha più responsabilità di non dare ancora segni di arroganza perché non funziona più", è l'avviso a Renzi da parte di Pier Luigi Bersani.
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