Lunedì 23 Dicembre 2024

Legge elettorale, dopo la sentenza della Consulta i partiti si spaccano sul voto anticipato

ROMA. La sentenza della Consulta che espunge il ballottaggio dall'Italicum non dirime la querelle che attanaglia la politica dal referendum del 4 dicembre, cioè la possibilità di andare al voto anticipato. A chiederlo è Matteo Renzi, che sottolinea l'immediata applicabilità del sistema che esce dalla sentenza, e con lui Matteo Salvini e Georgia Meloni. Mentre un passaggio parlamentare che renda omogeneo il nuovo Italicum al sistema del Senato lo chiedono in tanti, dal presidente del Senato Pietro Grasso, fino a Fi, ai partiti minori della maggioranza, passando per la minoranza Pd. Ambivalente la posizione di M5s che pur spingendo per le urne subito contemporaneamente si pone il problema di un passaggio parlamentare, che in qualche modo allungherebbe i tempi. Prima ancora che uscisse la sentenza, Grasso ha auspicato che il Parlamento "nei prossimi mesi" lavori così da "garantire per le due Camere sistemi elettorali coerenti ed omogenei". Qualcuno ha letto queste parole come l'interpretazione del pensiero del presidente Mattarella, che nel discorso di fine anno aveva sottolineato l'esigenza di due sistemi omogenei. Ma la sentenza della Corte risponde a questa esigenza? Per Renzi sì, come ha spiegato ai suoi, e come ha dichiarato il vicesegretario Lorenzo Guerini: la legge che esce dalla Consulta "è tendenzialmente omogenea e immediatamente applicabile", quindi si può votare subito. Concetto ribadito dal capogruppo Ettore Rosato: "Propone con forza a tutti i partiti il Mattarellum: se il Parlamento non riesce a trovare un accordo su questa legge, abbiamo due leggi per la Camera ed il Senato armonizzate dalla Consulta, utilizziamole" votando a giugno. La strategia sarebbe dunque quella di verificare nelle prossime due settimane la percorribilità in Parlamento del Mattarellum, dopo di che Gentiloni dovrebbe salire al Quirinale: la dead line è il 10 febbraio, quando sono attese le motivazioni della sentenza della Consulta. Per urne a giugno sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che il 28 gennaio scenderanno in piazza per perorare questa causa. Tutta Forza Italia, a partire dai capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta, chiede esattamente il contrario: che il Parlamento lavori per rendere del tutto omogenei i due sistemi, possibilmente approvando il proporzionale anche per la Camera. Ma per un profondo intervento del Parlamento sono anche Ncd e tutti gli alleati di governo più piccoli, nonché la minoranza del Pd, come hanno dichiarato Pierluigi Bersani e Roberto Speranza. Anche se sul tipo modello elettorale non puntano al proporzionale puro che vogliono gli "azzurri". Subito dopo la sentenza i 5 stelle hanno ignorato il divieto di interviste imposto ieri da Grillo: da una parte Alessandro Di Battista è sembrato auspicare un voto immediato, dall'altra Luigi Di Maio ha detto che "bisogna estendere al Senato la legge della Camera" per andare alle urne "in primavera", cosa che si può fare in "due giorni". Concetto, questo, ribadito da Danilo Toninelli. Ma è una visione troppo ottimistica perché non ci sarebbero i voti a Palazzo Madama: qui il Pd ha 113 senatori, di cui 22 della minoranza, M5s 32 e la lega 12. L'estensione al Senato del sistema della Camera implica un giudizio positivo sui capilista bloccati (salvati dalla sentenza) che, secondo gli osservatori, consentirebbe a Grillo di far eleggere candidati affidabili. Il tema ora è se, in assenza di un accordo in Parlamento sul Mattarellum o altri sistemi, Renzi avrà la forza di "far dimettere" Gentiloni. Tutto il "partito" che punta a concludere la legislatura pensa che la moral suasion di Mattarella e il timore di ripercussioni negative sull'opinione pubblica, inducano il segretario del Pd a frenare sul voto a giugno.

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