ROMA. A pochi giorni dal referendum, Matteo Renzi incassa un sì pesante, forse il più atteso per spostare consensi a sinistra. Romano Prodi, padre fondatore dell'Ulivo, esce dal silenzio e ritiene «doveroso» rendere noto il suo voto favorevole alla riforma, più che per il merito, per la sua «storia personale» e per «le possibili conseguenze sull'esterno». Un sostegno che spiazza Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, schierati per il No, e inorgoglisce il premier che vede nel sì dell'ex premier il riconoscimento «di un'esigenza per il paese». In tanti, ai vertici del Pd e del governo, avevano sperato che Prodi ufficializzasse la sua posizione ma tutti, conoscendo la voluta distanza messa negli ultimi anni dal Professore nel commentare la politica italiana, sapevano che non era scontato che il sì pubblico arrivasse. Forse i sondaggi sul filo hanno spinto il padre nobile dell'Ulivo a scendere in campo, pur con i dubbi sulla riforma e nel rispetto di chi «farà una scelta diversa». Ricordando le parole della madre - «nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone» -, Prodi ufficializza il sì, dopo aver spiegato il suo silenzio «in un dibattito che ha, fin dall'inizio, abbandonato il tema fondamentale, ossia una modesta riforma costituzionale, per trasformarsi in una sfida pro o contro il governo». La speranza è che la sua decisione «giovi al rafforzamento della nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale». Se Renzi, concentrato nel rush finale per convincere «i tantissimi indecisi», esulta, chi con lui fondò l'Ulivo, Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani, resta perplesso per la scelta dell'ex presidente della commissione Ue. «Io penso che sia meglio evitare sia il bastone che l'osso», dice laconico Massimo D'Alema. Deluso Pier Luigi Bersani che giudica «non entusiasta» il sì del Professore. «Io rispetto Prodi - sostiene l'ex segretario Pd - ma io non voglio succhiare l'osso, non mi turo il naso e soprattutto non lascio il No alla destra». Sollevato, invece, dalla scelta di Prodi appare Gianni Cuperlo che con la minoranza dem ha rotto proprio schierandosi a favore. Pur dovendo depennare Prodi dall'elenco di ex premier contro la riforma, il premier torna a chiarire che «chi vuole bloccare la Casta domenica ha la matita in mano». Lui, in caso di sconfitta del sì, non sarà della partita e prepara «i pop corn per vedere in tv i dibattiti sulla Casta». «È il capo della casta lui, noi siamo tutti ex», controribatte D'Alema. Botte da orbi dentro il Pd che in pochi credono saranno sanabili dopo il referendum. Il leader Pd rinvia al congresso e prende «l'impegno morale» a non politicizzare il voto assicurando che dal 5 dicembre «un'altra stagione si deve aprire». Più che dei mercati, Silvio Berlusconi sembra preoccupato per i «rischi per la democrazia» in caso la riforma passasse. «È meglio andare in un altro paese», lancia l'allarme il Cavaliere che, secondo il premier, «va a targhe alterne: un giorno sono dittatore, un altro statista». Più che al giorno dopo, pensano al 4 dicembre i grillini: «Denunceremo penalmente Renzi per il reato di abuso della credulità popolare in merito alla falsa scheda elettorale del Senato che, ieri sera, ha mostrato pubblicamente», annuncia il deputato Danilo Toninelli.