VARESE. «Rischia di cambiare la Lega? No, rischia di cambiare il segretario, la base non lo vuole più, non vuole più uno che ogni giorno parla di partito nazionale. Alla base, soprattutto in Lombardia e Veneto, dell'Italia non frega nulla». Umberto Bossi contesta ormai da mesi (lo ha fatto anche dal palco 'sacrò di Pontida in settembre) la linea che il giovane segretario Matteo Salvini ha dato alla sua creatura politica. Ma nel giorno in cui ha festeggiato i 30 anni della prima sede leghista, quella di piazza del Podestà a Varese, dove disegnava di suo pugno i manifesti autonomisti, Bossi si è spinto oltre.
Seduto alla scrivania di un tempo, mentre in piazza fumava il pentolone del vin brulè, il presidente-fondatore della Lega ha chiesto che si tenga subito il congresso federale, visto che «il 16 dicembre scade il mandato di Salvini». Messaggio: ci vuole un nuovo segretario. Il vecchio 'Capo' è infatti convinto che il fronte sovranista nazionale che ha in mente Salvini sarà la fine della Lega. «Siamo nati per la Padania - ha ripetuto - Finiremmo per essere un partito nazionale fra tanti».
Ma chi è l'alternativa a Salvini? «Ce ne sono tanti bravi, ma lo deciderà il congresso, il congresso è sovrano» ha risposto Bossi. Che però, sigaro in bocca e sguardo nostalgico, ha accennato un nome della vecchia guardia: Roberto Castelli.
In via Bellerio la minaccia di Bossi non viene comunque presa con preoccupazione. Il congresso ci sarà, probabilmente a gennaio. Nel frattempo, una vittoria del No al referendum sarà una conferma delle scelte del segretario. Lo stesso Salvini non ha replicato direttamente a Bossi, sicuro che la 'base' blandita da un Senatur da tempo senza truppe sia in realtà schierata senza esitazione con lui. «Migliaia di militanti ed elettori della Lega - è stata la risposta di Salvini contattato dall'ANSA - sono impegnati per far vincere il No al referendum, per bloccare una riforma che centralizza tutto e cancella libertà e democrazia. Non stanno chiacchierando di beghe di partito».
Possibile che la questione si chiuda così. Conoscendo le dinamiche leghiste da famiglia allargata, ancora prima dell'arrivo in piazza di Bossi, ci aveva pensato Roberto Maroni a fotografare la situazione: «In Lega si discute, si parla, poi però - ha detto il presidente lombardo, che è stato segretario fra Bossi e Salvini - c'è sempre un momento di sintesi, che è il congresso. Lì si decide la linea fino al congresso successivo. L'importante è che ci siano atteggiamenti onesti e mai 'contrò». Oggi a Varese, per i trent'anni della prima sede, sul piano umano fra Maroni e Bossi sono stati momenti di grande intesa.
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