FIRENZE. L'eco degli scontri arriva alla Leopolda solo quando il sindaco di Firenze Dario Nardella sale sul palco per denunciare la violenza dei manifestanti. Niente sembra rompere il clima di entusiasmo nella kermesse che Matteo Renzi definisce con i suoi una delle più belle di sempre. Il referendum alle porte galvanizza i leopoldini, tra applausi a Maria Elena Boschi e fischi a Massimo D'Alema, e da fiducia al premier che oggi, con il documento sull'Italicum, strappa Gianni Cuperlo alla minoranza interna. «Adesso non ci sono più alibi nè combinati disposti», è la soddisfazione del leader Pd, ormai deciso a lasciare per la loro strada i bersaniani schierati per il No. Le due Italie, quella che sa solo dire no e quella che ci crede e propone, saranno il filo conduttore del discorso con cui domani il premier chiuderà la settima edizione della sua kermesse. Ma già oggi, secondo i fedelissimi del premier, sono andate in scena due visioni di Italia: dentro la Leopolda, ministri e cittadini a discutere delle riforme del governo, fuori dalla Leopolda i manifestanti del 'No al referendum' decisi a forzare il cordone di sicurezza per portare la protesta davanti alla stazione. «Non ci faremo fermare da chi dice no per bloccare tutto», carica i supporter il premier, ormai in piena campagna per la volata finale al referendum. E per smantellare eventuali dubbi residui anche tra i leopoldini, Renzi dà il via, salvo poi lasciare il palco per evitare di personalizzare, al 'fact checking' sulla riforma: quasi due ore nelle quali Maria Elena Boschi, Matteo Richetti e alcuni professori del Sì, da Ceccanti a Pinelli, smontano le 'bufale del No", fingendo un confronto virtuale con i massimi avversari al referendum: i grillini Di Battista e Di Maio, Luca Casarini come Marco Travaglio e Massimo D'Alema. Velenosa Maria Elena Boschi, tornata grande protagonista sul palco: «Non fischiamo D'Alema, lui ha già dato prova di non riuscire a fare una riforma in sei mesi», dice per frenare qualche contestazione contro l'ex premier. Ad un mese dal referendum, la tensione è inevitabile ma l'obiettivo dei ministri, in mattinata, e di Renzi è di mostrare i vantaggi della riforma, i rischi del No e la strumentalizzazione delle ragioni degli avversari. In una battaglia in cui tutto conta, da oggi il segretario Pd può vantare una nuova freccia nell'arco: non tutta la minoranza interna è per il No. Gianni Cuperlo, coccolato per settimane da Lorenzo Guerini e Ettore Rosato, si convince a firmare il documento del comitato Pd in cui si mette in cantiere dopo il referendum la riforma dell'Italicum. Il testo mette in discussione due pilastri della legge elettorale, il ballottaggio ed i collegi, ma ogni passaggio parlamentare comincerà dopo il 4 dicembre. E dopo la pronuncia della Consulta sulla legge. «Io ho dimostrato che so fare passi avanti, l'accusa del combinato disposto tra riforma istituzionale e Italicum non esiste più», dice Renzi soddisfatto per l'ok di Gianni Cuperlo, considerato da sempre l'esponente più dialogante della sinistra interna. «Un buon lavoro, un passo avanti», esultano i 'pontierì Rosato e Cuperlo. Ma la spaccatura dentro il Pd è destinata a lasciare segni forse irreversibili anche se Cuperlo, che ora sosterrà il Sì al referendum, auspica che «la frattura nella sinistra, dentro e fuori il Pd possa ricomporsi» dopo il 4 dicembre. Ma la distanza tra l'ex Ds e i fedelissimi di Pier Luigi Bersani sembra incolmabile. «Un documento fumoso che non sana la ferita», sentenzia Roberto Speranza e con lui gli altri bersaniani, in realtà già da settimane in campagna per la vittoria del No