ROMA. «Il beneficio che la nuova Costituzione arrecherebbe, in termini di qualità della governance, è a mio giudizio nullo o negativo, in quanto le modifiche peggiorative prevalgono su quelle migliorative. Elevato è peraltro il costo che il Paese sta già pagando da qualche tempo, a carico del bilancio dello Stato, per la creazione di un clima di consenso inteso a favorire il Sì al referendum». Così, in un intervento sul Corriere della Sera, l'ex premier Mario Monti chiarisce il suo «No» al referendum sulla riforma costituzionale.
«Per superare il bicameralismo paritario, non si è optato per una seconda Camera di riflessione e orientamento, come la House of Lords; o di raccordo strutturato con i governi dei territori, come il Bundesrat; o più semplicemente per l'abolizione del Senato. Si è optato per un bicameralismo alquanto 'temerariò. Si è scelto di accrescere di molto, nell'architettura della Repubblica Italiana, il ruolo degli esponenti politici dei Comuni e soprattutto delle Regioni, proprio di quel segmento della classe politica che negli anni scorsi, con le dovute eccezioni, non ha offerto l'esempio migliore di gestione corretta e avveduta della cosa pubblica».
Monti parla anche di «Costituzione dagli effetti imprevedibili. Nel momento in cui saremo chiamati a scegliere tra la nuova Costituzione e quella vigente, non sapremo come avverrà l'elezione dei senatori», afferma.
«Non sono mai stato tra coloro che hanno esaltato la Costituzione attuale come 'la più bella del mondò. Ne vedo i limiti. Ma so anche che essa non ha mai impedito la governabilità dell'Italia, quando i governi sono stati sufficientemente risoluti. Con le molte decisioni che ha preso, diverse delle quali ho condiviso e sostenuto, il governo Renzi lo ha dimostrato chiaramente».
Tuttavia, aggiunge Monti, «a differenza di molti sostenitori del No non ho mai sostenuto che, ove vinca il Sì, la nuova Costituzione metterebbe a rischio la democrazia. E ho sempre detto che, anche in caso di vittoria del No, non riterrei nè doveroso né auspicabile che il premier Renzi si dimettesse. Mantengo questa opinione, pur trovando fuori luogo i toni sprezzanti che, sul tema del referendum, il presidente del Consiglio sta usando nei confronti non solo dei suoi avversari politici ma anche di chi, al di fuori della battaglia politica, si sforza di ragionare con la propria testa».
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