ROMA. Circa 900 milioni di euro per rinnovare i contratti degli statali, dopo sette anni di blocco. E' questa la cifra che, secondo fonti vicine al dossier, dovrebbe emergere in manovra, a valere sul triennio 2016-2018. In cascina già ci sono 300 milioni, somma che era stata individuata con l'ultima legge di Stabilità. Il dato non sarebbe ancora definitivo ma l'asticella dovrebbe restare poco sotto il miliardo di euro. Non è però escluso un ritocco al rialzo, magari spostato sul 2018. Infatti, oltre all'ammontare preciso, occorrerà capire anche come le risorse saranno distribuite, posto che quel che viene messo in bilancio il primo anno si trascina su quelli successivi, anche se non c'è più bisogno di stanziarlo in manovra, perché lo scatto ci sarebbe già stato. In altre parole l'aumento stipendiale segue una progressione. Inoltre lo stanziamento si riferisce solo alla P.a centrale, circa la metà del totale dei dipendenti pubblici contrattualizzati. Quindi i Comuni e le Regioni dovranno mettere in budget altrettanto. Resta però nell'occhio del ciclone la riforma della dirigenza targata Madia, contro la quale i dirigenti della P.A. annunciano uno sciopero di 5 ore il prossimo 24 ottobre. Secondo l'Unadis, dietro la riforma c'è "l'idea di annichilire, asservire, sottomettere la dirigenza pubblica", perché, spiegano, "la riforma non riguarda solo la dirigenza ma piano piano investirà altri settori pubblici. In pratica stiamo assistendo ad un meccanismo di erosione dello spazio dell'intervento pubblico". Se arriva una schiarita sui fondi, i nodi da sciogliere restano quindi diversi, anche per quel che riguarda le regole. Da quel che trapela si sta cercando di capire come allentare le maglie della legge Brunetta, che ai sindacati non piace affatto, soprattutto nella parte in cui divide il pubblico impiego per fasce di merito o demerito. La metà dei premi andrebbe al 25% più bravo e il resto al 50% che sta a metà strada, niente al restante quarto, con le 'pagelle' più basse. Finora la formula, che risale al 2009, non è stata mai applicata anche perché non c'è stato più alcun rinnovo. Ora il problema si pone con forza, visto che ci sarebbe la volontà di puntare proprio sulla retribuzione di risultato. Lo strumento giusto per rivedere alcuni passaggi sarebbe il Testo Unico del pubblico impiego, che il Governo vorrebbe presentare a febbraio, ma entrerebbe in vigore non prima dell'estate. Uno scarto di tempo, quello tra la disponibilità economica e il nuovo quadro di regole, che potrebbe essere colmato dalla trattativa contrattuale. D'altra parte si tratta di riaprire i tavoli dopo sette anni di blocco e nel frattempo sono pure cambiati i comparti. La ministra della P.A., Marianna Madia, ha parlato di una convocazione dei sindacati nelle prossime settimane, ma con tutta probabilità per riaprire i tavoli ufficiali della contrattazione bisognerà aspettare l'approvazione della legge di Bilancio. Intanto comunque sembrano tramontare ipotesi come quella del contratto ponte o di un rinnovo spostato sul triennio 2015-2017. Al momento sembra anche difficile inserire un tetto per i rinnovi, sopra il quale far evaporare gli aumenti a vantaggio dei redditi più bassi. Un altro fronte aperto nella P.a. è quello del turnover: aspettando le scelte che verranno fatte in manovra, Madia annuncia un ulteriore sblocco, dopo i vincoli alzati per favorire il riassorbimento degli esuberi delle Province.