ROMA. Nessun imboscata ma la rivendicazione che, senza Area Popolare, il governo a Palazzo Madama non ha la maggioranza. Angelino Alfano, nel giorno della resa dei conti interna al Senato, prova così a ricompattare i centristi, ribadendo che un tagliando al governo verrà chiesto solo dopo il referendum, e mandando un messaggio a Matteo Renzi (e a Denis Verdini) sul ruolo decisivo di Ap negli equilibri di governo. Ma se da un lato i centristi si mostrano quanto mai compatti sul voto al ddl enti locali, dall'altro, i malumori interni risultano tutt'altro che accantonati con i dissidenti pronti a issare la loro trincea nella riunione del gruppo convocata al Senato. Riunione alla quale Ap si reca forte della sua 'lealtà' al governo: nessun trabocchetto estivo ma 29 voti favorevoli su 31 oggi in Aula. "I bluffatori sono stati smentiti", osserva Alfano mentre è il capogruppo Renato Schifani a rimarcare ai senatori che mai come oggi il gruppo si è dimostrato compatto. Anche perché "un capogruppo deve tenere unito un gruppo", spiega nel pomeriggio lo stesso Schifani facendo intendere come i 29 sì odierni siano soprattutto una sua vittoria. Numeri che non nascondono il bivio al quale si avvia ormai Ap. "E' evidente che dopo il referendum faremo un tagliando", è il messaggio che Alfano indirizza al manipolo di malpancisti, dati nei giorni in uscita in direzione centrodestra. E a loro, a partire da Schifani che venerdì si è recato ad Arcore da Silvio Berlusconi, il titolare del Viminale lancia una stoccata: "il centrodestra? Bisogna capire da chi è fatto. C'è un problema di crisi di identità enorme da quella parte". Eppure è da quella parte che guarda più di un senatore centrista. "Sul referendum - spiega ad esempio Roberto Formigoni - l'impostazione di Renzi è lontana anni luce dalla nostra, e il No ha la stessa dignità del Si, laddove sull'Italicum dobbiamo pur dire qualcosa visto che parlano tutti, anche Franceschini". Mentre sul futuro di Ap l'ex governatore è netto: "il quarto polo non esiste, il modello Milano vive e lotta insieme a noi". Modello Milano al quale guarda anche FI che oggi, nella riunione dei senatori, ritrova una certa compattezza su "un no netto e chiaro" alle riforme e sul fatto che qualsiasi 'negoziato' sull'Italicum vada fatto solo dopo il referendum in quanto, spiega Paolo Romani, dipende dallo stesso risultato della consultazione. Fi intanto si mobilita, e in una lettera inviata dai vertici del partito ai coordinatori regionali esorta a costituire "il maggior numero possibile dei Comitati per il No", visti come chance anche per ridare vitalità al centrodestra. Area nella quale, sottolineano diversi senatori, tra cui Marco Marin, alla riunione, la leadership è di FI e non della Lega. Bocciata, invece, la linea dialogante lanciata da Fedele Confalonieri mentre Silvio Berlusconi, in attesa di vedere nei prossimi giorni i due capigruppo e i coordinatori regionali, resta per ora alla finestra. Non siamo noi che dobbiamo muoverci, spiega un esponente azzurro che, in merito alla legge elettorale, rileva una modifica che in FI oggi pare la più gettonata: l'eliminazione del ballottaggio.