ROMA. Matteo Renzi proietta il video del discorso di Giorgio Napolitano, quando alla rielezione sferzò il Parlamento per le mancate riforme. "Lo avete applaudito voi in quell'Aula, io ero a Palazzo Vecchio", dice ai dirigenti del Pd riuniti per la direzione. Ma non riesce a impedire che i mal di pancia che, alla vigilia dell'appuntamento "cruciale" del referendum costituzionale, emergano non più solo dalla minoranza ma anche - questa la novità - dalla maggioranza del partito. E si trasformino in direzione in un durissimo scontro. Con uno scambio reciproco di accuse, come quella di Gianni Cuperlo che attacca così il premier. "Esci dal talent dell'Italia stereotipata". In un'ora e mezza di discorso il premier avverte i colleghi che non si farà logorare né 'mangiare' come è successo in passato ad altri leader. E sul referendum avverte: "In caso di 'no' il premier, il governo e - ma non spetta a me dirlo - anche il Parlamento, dovrebbe prenderne atto". Tradotto: Andare tutti a casa. La direzione, convocata dopo i ballottaggi e rinviata causa Brexit, dura cinque ore e per la prima volta in 'era renziana' vede salire sul palco tutti i capi delle aree che compongono il partito. Il segretario se lo aspetta e li anticipa con un lungo discorso: dal terrorismo, fino alla necessità di cambiare l'Europa ("La flessibilità non è una concessione ma dovere di buon senso per l'Ue"). Un passaggio delicato è quello sulle banche: "Noi i risparmi li salviamo nonostante le regole Ue" ma anche dal Pd sono giunte, osserva, "polemiche ingiustificate e indecenti". Anche sulle politiche del governo, il premier non accetta che gli si chieda un cambio di rotta perché, avverte, si può sempre "cambiare quello che non va", ma "serve l'onestà intellettuale di riconoscere che da quando il Pd governa c'è qualche tassa in meno e qualche diritto in più". E ai bersaniani che hanno minacciato di non votare più la fiducia sui temi sociali, la risposta è netta: "Il Jobs act è la più grande legge di sinistra. E abbiamo aperto il più grande cantiere sociale". Perché la legislatura possa completare le "riforme attese da venti anni" e proseguire, Renzi sottolinea che è necessario il sì al referendum costituzionale: non con la "minaccia" (sia pur credibile, osserva) della recessione paventata da Confindustria in caso di vittoria del no ma come passaggio "cruciale non per il mio destino personale ma per la credibilità della politica". Il premier smentisce che il Pd abbia difficoltà a raccogliere le firme ("Ne abbiamo 400mila") e rivendica di non avere "paura di metterci la faccia". Ma, avverte, se la riforma viene bocciata l'intero Parlamento - ma su questo, è consapevole, decide il capo dello Stato - dovrebbe dimettersi. A chi, come Roberto Formigoni, da Ncd minaccia di togliere la fiducia al governo, Renzi replica: "Non tremiamo mica". E alle "correnti" che nel Pd si agitano, arriva una stoccata decisa: "Radio Transatlantico dice che i renziani dell'ultima ora scendono dal carro... quando cercheranno di risalire troveranno occupato. Qui nessuno è garantito, a partire da me. Finché ci sono io, le correnti non torneranno a guidare il partito. Girate sul territorio", avverte. Alla minoranza che chiede di separare il ruolo di segretario e premier: "Se volete cacciarmi vincete il congresso. La stagione in cui qualcuno dall'alto della sua intelligenza si diverte ad abbattere il leader è finita; no alla strategia del Conte Ugolino". E in platea più d'uno guarda Massimo D'Alema, che torna in direzione dopo lunga assenza. Ma le parole di Renzi non bastano a placare gli animi agitati della vigilia. Piero Fassino, sconfitto a Torino, invita a "tenere insieme riforme e quotidianità". E Dario Franceschini, leader di Area dem, apre il tema delle legge elettorale, non toccato dal segretario, chiedendo di introdurre il premio alla coalizione per contrastare i populismi. Non è d'accordo il collega Graziano Delrio, che difende la legge elettorale e invita anche i colleghi a "non vergognarsi del lavoro fatto" dal governo. Mentre Matteo Orfini e Andrea Orlando, leader dei Giovani Turchi, pur difendendo l'Italicum chiedono a Renzi risposte più decise sul partito: "Non bastano le politiche del governo", dice Orfini e critica la scelta del premier di discutere di Europa nell'assemblea del 23 luglio. Quanto alla minoranza, Roberto Speranza e Gianni Cuperlo presentano un documento (che sarà bocciato nettamente, con solo 8 voti a favore) per chiedere che anche le posizioni del "no" possano avere residenza nel partito. Tornano poi sulla richiesta di dividere i ruoli di segretario e premier: "Non è un dibattito lunare", dice Pier Luigi Bersani. Mentre Cuperlo annuncia che la minoranza presenterà al congresso un "ticket" tra candidato segretario e candidato premier". Di Cuperlo l'attacco più duro a Renzi: "Così condannerai la sinistra alla sconfitta. Esci dal talent di un'Italia patinata", dice. "Gianni - replica Renzi - io sono fuori dal 'talent'. Voglio uscire dal racconto stereotipato del governo di arroganti del Giglio magico".