ROMA. Nessuno al quartiere generale del Pd mette la faccia su quella che Matteo Renzi ammette essere una delusione: l'analisi dei ballottaggi è affidata ad una nota del partito mentre al secondo piano del Nazareno big e dirigenti masticano amaro e la tensione è palpabile. Se la sconfitta a Roma era ampiamente prevista, è la debacle a Torino, con il ribaltamento del primo turno, a fare ammettere la forza dei grillini, «ormai i nostri unici avversari».
E la dimensione della vittoria M5S nelle due città dimostra che «la Santa alleanza M5S-destra se può si coalizza per dare la spallata a Renzi», un dato preoccupante in vista del referendum di ottobre. La vittoria a Milano, e a Bologna, permette al Pd di evitare il cappotto nelle grandi città. Ma non di non riconoscere una sconfitta complessiva, pur in un quadro che Renzi continua a definire «frastagliato» tale da non poter considerare, a suo avviso, le comunali un test nazionale sul governo.
Ma il premier non vuole sottrarsi alla realtà, ammette la sconfitta «senza attenuanti» a Roma e a Torino e la «durezza» della perdita a Novara e a Trieste. Per questo anticipa la direzione nazionale, prevista per il 27, a venerdì 24, giorno che la minoranza aveva scelto per avviare, nell'analisi del voto, la resa dei conti contro il segretario, da mesi indicato come incapace di gestire il Pd e di averlo portato su una strada, il Partito della Nazione, che «oggi - osserva un dirigente della minoranza - si conferma fallimentare: scegliere Verdini e buttare al mare il centrosinistra è la morte del Pd».
Renzi, consapevole di essere al tornante più difficile da quando è alla guida del governo e del partito, non ha intenzione di incassare accuse che vengono «da chi da mesi parla solo male del governo e del Pd». Ma il «lanciafiamme» contro la minoranza, in base alle priorità del premier, può aspettare: dopo le comunali, il referendum istituzionale diventa a maggior ragione lo spartiacque del suo futuro politico.
Ed il risultato di Roma, con il trionfo della Raggi, e di Torino fa scattare il campanello d'allarme: in entrambe le città il centrodestra ha votato le candidate grilline per colpire Renzi e il Pd che, ammettono i dem in base all'analisi del voto, non sfonda invece al centro. «Un'alleanza che si riproporrà al referendum visto che lì la posta in gioco è dichiaratamente il governo», sostengono più dirigenti che a questo punto chiedono una revisione della strategia nella campagna mediatica, più sul merito della riforma e meno rivolta a politicizzare la sfida.
E si cercherà di compattare il Pd, evitando che prenda largo la frangia del no, di chi vorrebbe che la sinistra interna si smarcasse promuovendo comitati per il no. Pier Luigi Bersani non vuole la rottura ma da oggi non farà sconti agli errori del segretario e chiederà una netta correzione di rotta.
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