ROMA. L'Italia torna a crescere dopo una recessione che proseguiva ininterrotta da tre anni, chiudendo il 2015 con un rialzo del Pil dello 0,8%. Migliora anche il deficit, che si riporta ai livelli pre-crisi, mentre la pressione fiscale scende per la prima volta dal 2010. E sul fronte lavoro l'anno nuovo inizia con il segno più, visto che gli occupati in un solo mese, gennaio, salgono di 70 mila, grazie al traino dei contratti a tempo indeterminato. La raffica di dati uscita dall'Istat dimostra «che l'Italia è tornata», scrive il premier Matteo Renzi su Facebook. «Con questo Governo le tasse vanno giù, gli occupati vanno su, le chiacchiere dei gufi invece stanno a zero», sintetizza il presidente del Consiglio, sottolineando come «il boom del JobsAct» sia «impressionante». Poi al Tg1 guarda anche avanti: «non ci accontentiamo, bisogna insistere». Per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan i numeri provano che «il governo mantiene i suoi impegni» e da Bruxelles definiscono i dati «in linea con le previsioni della Commissione».
L'attenzione si concentra sul Pil. Il risultato, pur se sotto le ultime indicazioni ufficiali del Governo, contenute nel Def di settembre (+0,9%), supera le stime fornite dall'Istat in base alla media trimestrale (+0,7%). Tuttavia il premier ricorda come la previsione originaria dell'Esecutivo, rilasciata nella prima versione del Def (la primavera scorsa), fosse inferiore a quel che poi è stato. C'è anche un discorso di collegamento con l'anno prima. Ed è da notare che l'Istat ha rivisto le serie storiche, compreso il 2014, ma dall'Istituto garantiscono che le correzioni sul pregresso non hanno avuto impatti sul Pil 2015.
Centra invece in pieno le aspettative il deficit, che scende al 2,6% del Pil dopo anni di oscillazioni introno al 3%. E quest'anno «scenderemo ancora», assicura Renzi. Una nota positiva la riserva il debito: nonostante si tratti di un massimo storico, al 132,6% del Pil, è più basso delle stime di 0,2 punti. In particolare, sono scesi di 5,9 miliardi gli interessi pagati sul debito. Tanto che Padoan parla di un rapporto che «si è stabilizzato, premessa fondamentale per permettere al debito di scendere». Ora, aggiunge, «la strategia
del governo deve andare avanti lungo linee intraprese finora».
Le leve su cui agire sono tante, quante quelle che si riflettono sul Pil, a cominciare dagli investimenti, nel 2015 tornati in positivo dopo un letargo lungo otto anni (+0,8%), anche grazie all'impennata della voce trasporti. Ma per il premier è «ancora poco». Non a caso l'anno in corso potrà contare sui maxiammortamenti. In effetti, uscendo dalle percentuali, il Pil resta ancora sotto i livelli del 2000.
I consumi invece si rivelano una costante positiva, in rialzo grazie alla spinta delle famiglie, mentre la spesa della P.a cala. Si alleggerisce anche la pressione fiscale, al 43,3% dal 43,6%, un risultato su cui si riflette la contrazione delle imposte indirette bilanciata in parte dalla risalita delle dirette (come l'Irpef). Sul punto c'è da ricordare che l'Istat non annovera il bonus 80 euro tra le detrazioni ma tra le spese assistenziali, che infatti crescono. E cresce anche la retribuzione procapite, almeno al lordo delle tasse. Intanto il Mef aggiorna a febbraio il fabbisogno, registrando un rialzo dovuto anche, al «mancato introito del canone Rai», slittato a
luglio.
Lo scenario fiscale appare, almeno nel dibattito, in fermento: le tasse, dice il premier, «sicuramente continueranno ad andare giù ma è ancor prematuro dire quale intervento». A proposito di tagli, nonostante il decalage degli sgravi sulle assunzioni stabili a gennaio si contano quasi centomila posti fissi in più in un mese (è probabile che il dato risenta di una coda della corsa all'incentivo pieno di fine 2015).
«Nei due anni del nostro Governo abbiamo raggiunto l'obiettivo di quasi mezzo milione di posti di lavoro stabili in più», sottolinea Renzi. «Un grande risultato» lo definisce il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, rivolgendo un grazie a «tutte le aziende». Tuttavia i giovani scontano una disoccupazione al 39,3% contro una media ferma all'11,5%. Percentuali che continuano ad essere più alte di quelle registrate nell'Eurozona. Le distanze restano anche in termini di Pil, se si guarda a quanto ottenuto in alcuni dei Big europei
(Germania +1,7% e Francia +1,2%). Ecco che le opposizioni storcono il naso. Renato Brunetta (Fi) parla di una «tragedia» e per il leader di Ln, Matteo Salvini, i dati «sembrano il gioco della tombola». Critico anche il segretario generale Cgil, Susanna Camusso: discutere di gufi «è un modo per togliersi di fronte il problema». Sul punto interviene pure Pier Luigi Bersani: «Non è il caso essere gufi ma di dare messaggi coerenti».
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