ROMA. Scoppia un caso diplomatico tra Italia e Stati Uniti dopo le ultime rivelazioni di Wikileaks sullo spionaggio americano ai danni di Silvio Berlusconi quando era capo del governo nel 2011, poco prima delle sue dimissioni. Il premier Matteo Renzi ha chiesto spiegazioni e la Farnesina ha convocato l'ambasciatore americano. E da Washington il Dipartimento di stato ribadisce la posizione già assunta in casi analoghi: non sorvegliamo a meno che non vi siano buoni motivi e questo vale sia per i normali cittadini che per i leader mondiali. Secondo i nuovi documenti fatti filtrare dall'organizzazione di Julian Assange - e pubblicati in Italia da Repubblica e L'Espresso - la Nsa avrebbe intercettato le telefonate dell'allora premier e quelle dei suoi collaboratori principali a Palazzo Chigi, tra cui anche conversazioni dirette con leader stranieri come Benyamin Netanyahu. E c'è anche un report su un incontro tra Berlusconi, il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel nel quale Sarkozy avrebbe sollecitato il premier italiano a «prendere delle decisioni» perchè le istituzioni finanziarie italiane rischiavano di «saltare in aria». L'incontro è del 22 ottobre 2011. Meno di un mese dopo, Berlusconi si dimise sotto la pressione di uno spread arrivato alle stelle, aprendo le porte di Palazzo Chigi a Mario Monti. Il caso Berlusconi-Wikileaks ha provocato la reazione del governo italiano. Renzi ha annunciato che verranno chieste «informazioni in tutte le sedi, anche con passi formali». La Farnesina ha convocato l'ambasciatore americano John Phillips ed il segretario generale Michele Valensise gli ha trasmesso «la viva aspettativa italiana di poter disporre quanto prima di chiarimenti specifici». Phillips, ha fatto sapere la Farnesina, ha ricordato «le nuove procedure adottate da Obama nel 2014 in materia di riservatezza delle comunicazioni» e comunque ha assicurato che porterà «immediatamente» la questione all'attenzione di Washington. In serata il Dipartimento di stato ha ribadito che «come già detto in precedenza, non conduciamo alcuna attività di sorveglianza di intelligence a meno che non vi sia una specifica e valida ragione di sicurezza nazionale. E ciò si applica a cittadini ordinari come a leader mondiali». Il portavoce Mark Toner, senza entrare nello specifico, ha ricordato che «il presidente è stato chiaro sul fatto che, a meno che non vi sia uno stringente motivo di sicurezza nazionale, non monitoreremo le comunicazioni di capi di Stato e di governo dei nostri amici e alleati», prima di ricordare che «in quanto alleati e partner, continueremo a lavorare a stretto contatto con l'Italia per proteggere la sicurezza collettiva dei nostri due Paesi e dei nostri cittadini». Anche il Parlamento si è mosso. La presidente della Camera Laura Boldrini ha parlato di «spionaggio inaccettabile». Il Copasir, l'organo di controllo dei servizi, ha chiesto chiarimenti al sottosegretario con delega all'Intelligence Marco Minniti. La procura di Roma ha fatto sapere che procederà in caso di esposti o denunce. Ora finalmente mi crederanno quando denunciavo di essere stato vittima di un complotto, sarebbe stato lo sfogo di Berlusconi con i parlamentari di Forza Italia, che hanno chiesto a Renzi di riferire in aula. Il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta, ha sollecitato l'avvio di una commissione d'inchiesta, rilanciando la tesi che l'ex Cavaliere sia caduto all'epoca sotto i colpi della «finanza internazionale» e dei «poteri oscuri». L'ex premier italiano era già finito nel mirino di Wikileaks nell'ambito del cosiddetto 'Cablegatè, del novembre 2010, quando vennero pubblicati documenti con informazioni confidenziali inviate dalle ambasciate americane di tutto il mondo al dipartimento di Stato. Berlusconi era stato definito un leader «inefficace» che pensava troppo alle feste ed il «portavoce di Putin in Europa». Giudizi poco lusinghieri erano stati riservati anche ad altri leader come Sarkozy, definito «imperatore nudo», e alla Merkel, che «evita il rischio e raramente è creativa». L'imbarazzo degli Usa nei confronti degli alleati era riesploso tre anni dopo con il 'Datagatè, quando la talpa dei servizi Edward Snowden diffuse documenti sullo spionaggio americano ai danni di ben 35 leader stranieri, persino con il cellulare della Merkel messo sotto controllo. Quel ciclone costrinse l'amministrazione Obama ad ammettere gli eccessi e ad avviare una riforma delle regole. Ma soltanto in parte. Lo scorso giugno il presidente Usa ha firmato il Freedom Act, che vieta alla Nsa di raccogliere informazioni di massa, chiudendo l'epoca delle intercettazioni libere inaugurata dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. La nuova legge, però, vale solo per le comunicazioni all'interno degli Stati Uniti. Quanto alle intercettazioni all'estero, Obama ha imposto soltanto una stretta sorveglianza della Casa Bianca. Nsa e Cia, quindi, potranno continuare a spiare i leader stranieri.