ROMA. La scissione non viene più esclusa. È tutta qui la novità del dibattito politico interno al Pd, alla luce del caso delle tessere ai cuffariani in Sicilia. «Se pezzi organizzati della destra scelgono di entrare nel nostro partito, quello non è più il nostro partito», scandisce Gianni Cuperlo, nella sua 'lezione' alla scuola politica del Pd. Ma i renziani replicano che le polemiche sono pretestuose, che nessuna irregolarità è al momento provata. E contrattaccano: «Quelli che oggi nel Pd parlano di scissione - afferma Simona Bonafè - sembrano piuttosto solo a caccia di un collegio».
Il nuovo scontro interno arriva nel giorno dell'inaugurazione di Classe democratica, la scuola di formazione politica del Pd. In platea oltre 370 under 35, da tutta Italia. Oggi parlerà Matteo Renzi, da lui potrebbe arrivare una risposta diretta sul «caso Cuffaro». Ma i renziani continuano a difendere la scelta di apertura a quello che alla Leopolda il segretario-premier aveva definito il «partito della ragione».
L'accusa, pesante, della minoranza è invece che il progetto sia piuttosto quello di un partito che mira a imbarcare un pezzo di centrodestra e tollerare operazioni di trasformismo: «Forse chi è partito rottamatore si sta facendo riciclatore», attacca Federico Fornaro. «Io - ribadisce Pier Luigi Bersani - non intendo stare in un semplice spazio politico, combatto perchè il Pd sia un soggetto politico, che vuole allargare i propri confini ma che ha dei confini».
«Bisogna mettersi alla testa di un nuovo centrosinistra di governo», ribadisce Cuperlo, che denuncia la mancanza di pluralismo e l'omologazione delle idee nel partito.
Una bocciatura eccellente all'ipotesi della trasformazione del Pd in un «partito della nazione» arriva da Walter Veltroni. È il primo segretario del partito ad aprire la scuola di politica, con un lungo intervento nel quale rivendica la decisione di fondare un partito democratico sul modello di quelli inglese ed americano e ricorda che «sinistra è cambiamento». Ma, da «esterno» alla contesa tra maggioranza e minoranza Dem, esprime un giudizio tranchant: «Se il Pd diventa altro da sè perde pezzi di sè e rinuncia all'ambizione maggioritaria. E il partito della nazione è il contrario del partito a vocazione maggioritaria. Non dobbiamo tornare a una concezione neo-minoritaria per cui dobbiamo prendere tutto sennò non ce la facciamo. Non dobbiamo più essere quella sinistra che pensa di dover alleare chiunque attorno a sè per conquistare la maggioranza. Un partito a vocazione maggioritaria - dice, raccogliendo un'ovazione dalla platea - non si allea con tutti».
Veltroni «rottama» anche l'idea delle primarie come metodo di scelta dei vertici del partito: «Delle primarie si è abusato, quelle scelte vanno affidate agli organi dirigenti del partito. Devono essere riportate alla scelta dei candidati agli organi di governo». Un appunto anche sulle dinamiche interne: «No alle correnti: nel partito si discute, ma una volta che la decisione è stata presa dobbiamo stare uniti», afferma. Ma un partito, aggiunge, «non è un 'one man show': ciascuno di noi non è mai da solo e se è solo sbaglia. Solo insieme si vince».
Ma i rapporti interni sono ai minimi storici. Miguel Gotor in un'intervista ventila la possibilità di una decisione della minoranza di uscire dal partito. E il renziano Ernesto Carbone lo punzecchia: «L'ex-ideologo di Montezemolo, oggi in prestito alla ditta, ventila la scissione. Ha voglia di cambiare ancora partito?». Ci si mette poi anche il verdiniano Vincenzo D'Anna: «Bersani & co. sono il giurassico della politica», sostiene. E i bersaniani insorgono: «Attacchi indecenti, il silenzio del Nazareno su questi episodi è tanto assordante quanto inaccettabile».
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