ROMA. Grandi prove d'intesa tra sorrisi e scambi di cortesie dopo le turbolenze. Ma di fatto a Berlino l'atteso incontro tra 'Angela' e 'Matteo', come si sono chiamati per tutta la conferenza stampa, sembra non aver spostato di molto le rispettive posizioni.
E l'escamotage pensato per affrontare le telecamere e rispondere ai giornalisti è stato quello di rinviare ogni questione a Bruxelles. In quello che alcuni commentatori hanno battezzato come una sorta di 'scaricabarile'. La Merkel rinvia alla Commissione ogni decisione sulla flessibilità («io non m'immischio, spetta a loro»).
E Renzi fa altrettanto quando ribadisce di essere sì pronto a fare la sua parte sulla Turchia, sbloccando la quota di fondi italiani per l'accordo di 3 miliardi sui migranti, ma non prima di aver ricevuto risposte chiare da Bruxelles sullo
scorporo dal calcolo del deficit.
Tutto il siparietto berlinese si gioca, di fatto, all'ombra della flessibilità, con il premier intenzionato a non mollare la presa e a sollecitare il 'rispetto dei pattì da parte della Commissione. Anche tirando il freno sull'accordo con Ankara. E la Merkel, dall'altro lato del campo, che lascia rimbalzare la palla pronta a ribadire che non spetta a lei, ma a Juncker - è il ragionamento - dare una risposta. Sfilandosi, nella liturgia delle dichiarazioni alla stampa, da ogni ruolo di regia nell'eccessivo rigore bruxellese lamentato da Roma.
Uniti - questa sembra l'unica certezza - dalla volontà di mantenere l'Europa coesa e lanciare un messaggio di compattezza di fronte alle tante sfide aperte, anche e soprattutto per contrastare l'onda populista, i due leader in Germania hanno così giocato una partita di fioretto di diplomazia politica.
Sul tavolo, d'altronde, la posta è altissima per entrambi. La cancelliera si gioca tutto sulla crisi dei migranti e ha bisogno di risposte immediate: tra queste appunto la piena applicazione dell'accordo con la Turchia, che contribuirebbe a frenare il flusso sulla rotta balcanica che si riversa sui confini tedeschi. Ma allo stesso tempo la custode del rigore non può mollare sull'allentamento dei cordoni dei bilanci.
Renzi, dall'altra, intenzionato a insistere sul cambio di passo che vuole dall'Europa in termini di crescita e occupazione. Anche per questo il premier ha chiamato Carlo Calenda a rappresentarlo a Bruxelles, e oggi lo ha voluto in delegazione con lui per 'accreditarlò a Berlino.
Oggi forse, tra le mura della cancelleria che ha ospitato la colazione tra i due, qualcosa in più potrebbe essere stato concordato. Ma la scelta di comunicazione è stata misurata: rinviare qualsiasi responsabilità e decisione alla Commissione Juncker. Ribadendo che loro due sono «convinti europeisti» e che, soprattutto, sono rappresentanti di due «paesi fondatori» che «hanno pari dignità». Che pesano cioè allo stesso modo al tavolo europeo, dove a decidere alla fine - è il messaggio - deve essere Juncker. La partita resta ancora tutta da giocare.
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