ROMA. All'attacco in Europa, per farsi valere. A testa bassa in Italia, incurante delle polemiche sui voti di Verdini. Matteo Renzi riafferma più volte, nella giornata, che le accuse da Bruxelles e l'offensiva delle opposizioni e della minoranza Pd sul fronte interno non lo spaventano. «Verdini non entra in maggioranza... lasciatemi governare», è il segnale che manda ai compagni di partito. E a Juncker e Merkel fa sapere: «Non faccio bizzette o polemicucce in Europa perchè sono un attaccabrighe, ma perchè voglio chiedere che le cose in Europa funzionino per tutti». «Io sono un europeista nel midollo, voglio una Ue che funzioni, con regole uguali per tutti, senza doppi standard», dice il premier in mattinata, presentando i decreti attuativi della P.a. e le classi di concorso per la scuola approvate dal Consiglio dei ministri in notturna. Poi vola a Losanna per sostenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi e in serata una lunga intervista a Porta a porta, per rispondere agli attacchi domestici ed europei. E per rassicurare sul sistema bancario italiano anche se riforme vanno fatte, come le aggregazioni, mentre «se fossi stato io, prima del 2013, sarei intervenuto» con i soldi pubblici.
Lo scontro in corso in Ue non è estemporaneo, ma rientra - assicura - in una precisa strategia volta a ottenere all'Italia un trattamento pari a quello di un Paese come la Germania. Il «casus belli» con il presidente della commissione Ue, spiega Renzi, è stato lo stop italiano sui fondi alla Turchia: «Juncker e Merkel si sono arrabbiati. Noi dovremmo dare 200-250 milioni ma in cambio chiediamo che i soldi siano fuori dal patto di stabilità: se viene riconosciuto lo 0,2% della clausola dei migranti» inserito in manovra, «domani firmiamo». Di fronte a un'Europa che «non ne azzecca più una», l'Italia rivendica le riforme fatte e punta all'obiettivo «alla nostra portata» del Pil «all'1,5-1,6% nel 2016». Perciò a Bruxelles non c'è altra strategia, per l'Italia, se non l'attacco, spiega Renzi, che domani vedrà gli eurodeputati del Pd e intanto schiera le truppe: «I burocrati italiani non abbiano terrore. La sindrome di Calimero io non ce l'ho, le istituzioni europee non sono il vangelo e noi non siamo isolati. Io non vado col cappello in mano come ha fatto in passato tutta una generazione di politici. Il capo di gabinetto di Juncker riunisce di nascosto 3 -4 giornalisti e critica. Lo può dire a suo cugino... Io le cose le chiedo con chiarezza», assicura il premier.
«Perciò quando hanno fatto un pò di battutine sull'Italia a Bruxelles pensando di impaurirmi, ho risposto: se volete uno più rissoso di me e bravissimo sui dossier, vi mando Carlo Calenda». Stessi toni sul fronte italiano. Sotto attacco per l'ipotesi che l'amico Marco Carrai assuma un incarico sulla Cybersecurity, Renzi replica a muso duro: «Deve decidere lui, se vuole venire a dare una mano al governo deve mollare tutto, molti incarichi e rimetterci un sacco di soldi. Il capo dei servizi resta Minniti e in caso Carrai risponderà a Minniti. Ma quando si tratta di staff è giusto che ognuno porti i suoi come succede in America». E le accuse della minoranza Pd di voler 'affiliarsì con i verdiniani per puntellare il governo? Nel voto sulle riforme si vedono sempre «maggioranze diverse», dunque Verdini e i suoi, sebbene ieri determinanti, «non sono entrati - scandisce Renzi - in maggioranza». Quanto all'assegnazione ad Ala di tre vicepresidenze di commissione, Renzi liquida la questione così: «Il dibattito non mi appassiona, fino al 2018 lasciatemi governare». L'unico stop alla sua carriera politica potrà arrivare se il referendum sulle riforme sarà bocciato. Ma il leader Pd è fiducioso: «Secondo me lo vinciamo».
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