PALERMO. «Nessun azzoppamento del disegno di legge sulle unioni civili è realisticamente all’orizzonte. Non è ipotizzabile e men che mai auspicabile». Se il Partito democratico serra i ranghi con lealtà, beninteso. Denti stretti sulla parola «sgambetto» in aula, che alla relatrice Monica Cirinnà, a taccuino aperto, non piace pronunciare espressamente. Convulsa, la giornata pubblica e mediatica di ieri della senatrice democratica componente della commissione Giustizia di Palazzo Madama, a poche ore dal gong del termine di presentazione degli emendamenti. Poi, a fine mese, sarà l’arena dell’aula. Lo «sgambetto», uno spettro da esorcizzare «con un confronto aperto che non divenga compromesso ma che ponga l’obiettivo comune del miglioramento, sempre possibile, della riforma». Altrimenti, una beffa che avrebbe il sapore pretestuoso di una resa dei conti interna all’indirizzo del premier Matteo Renzi. Entrerà a giorni in aula, la riforma che ha in animo, e in corpo, il varo di un istituto — l’unione civile, appunto — che «consentirà all’Italia di colmare il vuoto normativo che ancora la vede anni luce lontana, sui diritti civili, dal resto dell’Occidente evoluto». È la firma della Cirinnà, a essere vergata in calce al testo di riforma, ddl numero 2081. Testo del quale la senatrice difende «l’assoluta legittimità costituzionale», nelle ultime ore revocata in dubbio da chi un matrimonio (o quasi) fra persone omosessuali non lo vuole o lo vuole tiepidamente. E, soprattutto, non è persuaso della bontà (e della costituzionalità) della stepchild adoption, cioè l’opportunità di adottare i figli biologici del partner da parte di chi gli sia unito civilmente. Senatrice, ieri ha fatto da più parti capolino, anche su autorevoli testate, la parola «sgambetto». Un timore che lei nutre realmente? Che aria tira, nel Pd? Esiste veramente la possibilità di un’imboscata in Parlamento capace di mandare all’aria mesi di dialettica anche culturale? «Sgambetto, imboscata sono parole che rifiuto con forza. Il fatto che io, e non solo io, sia fermamente convinta della bontà e dell’efficacia dei punti focali del testo di riforma, non significa che lo stesso disegno di legge, soprattutto in ordine agli articoli 2 e 3, non sia suscettibile persino di miglioramenti. Andare avanti si può, indietro no. E men che mai restare con un nulla di fatto in mano». Stringendo sui punti critici del testo, di quali miglioramenti si tratterebbe? In ultima analisi, le divisioni più serie si registrano sul tema dell’adozione da parte del partner omosessuale unito civilmente con uno dei genitori naturali... «I miglioramenti sono e devono essere diretti esclusivamente all’ambito di garanzie da fornire al minore, sia dal punto di vista affettivo che sotto il profilo patrimoniale. Si capisce bene quanto ciò sia collegato a una piena assunzione di responsabilità da parte di chi assume la potestà genitoriale. Non ci sono margini di dissenso accettabili su questo principio fondamentale. Del resto, l’istituto in sé non è una novità: l’adozione del figlio del coniuge da parte di chi con lui o lei abbia contratto matrimonio successivo, è già prevista nel nostro ordinamento per gli eterosessuali». Più in dettaglio, questi margini di manovra danno respiro a chi, soprattutto fra i centristi della maggioranza, avrebbe votato più volentieri l’adattamento dell’istituto dell’affido familiare? Possibile un compromesso? «Decisamente no. L’affido familiare ha basi giuridiche e di funzione completamente differenti dall’adozione. È radicalmente un’altra cosa, e serve ad altre esigenze di tutela dei minori. Ribadisco, è l’assunzione di piena responsabilità genitoriale, che conferisce diritti ma soprattutto doveri in ordine a educazione e sostentamento dei figli, a garantire in pieno i diritti dei più piccoli che per diverse ragioni si trovino, di fatto, a poter contare su uno solo dei genitori naturali. I casi sono tipici e noti: dalla morte dell’altro genitore, alla sua inidoneità e alla rinuncia, sempre con accettamento del giudice. La parola compromesso in questo dibattito non esisterà neanche. Basta anche solo andare sommariamente sul lato pratico: l’affido non garantisce la pienezza della tutela patrimoniale. L’adozione sì». C’è anche chi parla di vulnerabilità costituzionale del testo. «Il ddl è assolutamente cristallino sul piano della legittimità: la Consulta, nel 2010, prescrisse, fra l’altro, la creazione di un istituto diverso dal matrimonio. Con l’unione civile ne stiamo seguendo fedelmente le indicazioni».