Lunedì 23 Dicembre 2024

Madia: licenziare gli assenteisti nella pubblica amministrazione

ROMA. Nessun giro di parole: «Un dipendente pubblico che dice che va a lavorare e poi non ci va, deve essere licenziato». Il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, stavolta non esita a usare il verbo 'licenziarè e il riferimento va alle «recenti cronache». Un collegamento preciso non c'è ma viene subito da pensare al caso delle false presenze al Comune di Sanremo. Madia tiene a precisare come questi siano casi di lavoratori «disonesti» ma non per questo bisogna cadere, avverte, nelle trappola del «luogo comune» per cui «tutti i dipendenti pubblici sono fannulloni». Ciò, sottolinea, «non è vero». Il ministro però riconosce il problema dell'assenteismo e indica una soluzione: mandare a casa il dipendente che imbroglia. Per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, niente di cui stupirsi, anzi. A chi gli chiede la sua versione, come massimo esponente del mondo privato, risponde: «Potendo li avremmo già licenziati molti anni fa». E alle parole di Madia replica subito anche l'ex ministro della P.A, Renato Brunetta, che ricorda come «la legge per mandare a casa e licenziare  definitivamente i dipendenti pubblici che non lavorano esiste già, è il decreto legislativo 150 del 27 ottobre 2009». Insomma,  per l'attuale presidente dei deputati di Forza Italia «c'è già tutto, basta applicare le leggi». In effetti il licenziamento disciplinare è espressamente previsto per la «falsa attestazione della presenza in servizio» e si fa cenno proprio «all'alterazione dei sistemi di rilevamento» e ad «altre modalità fraudolente», così da coprire tutto lo spettro. Quel che il governo mette sotto accusa è però l'efficacia delle norme, d'altra parte dal monitoraggio della Funzione Pubblica, dati del 2013, emerge come su quasi 7 mila procedimenti quelli conclusi con licenziamento, la sanzione più forte, siano solo 220 (un centinaio per assenteismo). Non a caso la riforma della P.A. prevede un restyling della legge Brunetta, o meglio dell'azione disciplinare che oggi segue un meccanismo con diversi passaggi e attori. Il decreto attuativo che porterà a un nuovo testo unico sul pubblico impiego non farà però parte del primo pacchetto di provvedimenti applicativi della riforma (che dovrebbe arrivare a metà novembre). Bisognerà aspettare quindi il 2016 ma intanto si  riscaldano i motori di un dibattito che sarà senz'altro acceso (basti ricordare la querelle su Jobs act, art. 18 e statali).    Certo le vicende di Sanremo non sono passate inosservate. Nei giorni scorsi il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone,ha spiegato che la P.A. non «può nascondersi dietro il principio di dover aspettare l'esito dei processi». C'è poi chi, come la deputata Fi Laura Ravetto, ha proposto di «introdurre l'identificazione tramite impronte digitali». Ma ora ad alimentare il fronte P.A. c'è soprattutto il rinnovo del contratto, per cui la legge di Stabilità stanzia 300 milioni. Una dotazione nettamente inferiore a quella stimata dalla Corte dei Conti, che reputa necessari «2miliardi», tanto  che i magistrati contabili paragonano la cifra inserita in manovra all'indennità che viene riconosciuta quando la  contrattazione è ferma. I sindacati sono sul piede di guerra, il 28 manifesteranno a Roma, mentre al ministero dell'Economia  continua la protesta (la Rsu spinge per il blocco degli  straordinari). Ecco allora che la Uil invita a guardare anche ai dipendenti seri, «la stragrande maggioranza», e a riconoscere  loro «il giusto salario». Un'altra piaga della P.A. è quella che Rete Imprese Italia chiama «cattiva burocrazia», che - ricorda - pesa ogni anno  sulle Pmi «per 31 miliardi di euro», di cui «9 eliminabili» per un beneficio doppio in termini di Pil. Secondo i calcoli del Cer si guadagnerebbero infatti 16 miliardi in quatto anni.

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