ROMA. Ignazio Marino non è più sindaco di Roma. Ha perso la sua battaglia contro il Pd in uno scontro sanguinoso e drammatico. «Accoltellato da 26 nomi e cognomi, ma con un solo mandante» dice ormai da ex dopo avere appreso che i 19 consiglieri del Pd assieme ad altri 7 si erano dimessi decretando la sua fine. Finisce così l'agonia del governo Marino. E il Campidoglio si prepara ad accogliere il commissario Francesco Paolo Tronca, attualmente prefetto di Milano. Matteo Renzi intanto pensa già a girare pagina e assicura: «Marino non è vittima di una congiura di palazzo, ma un sindaco che ha perso il contatto con la sua città e la sua gente». Soprattutto ora per Renzi Marino è «una pagina chiusa». È finita così l'era dell'«irregolare» chirurgo alla guida della Città Eterna. Sfiduciato da parte della sua maggioranza aiutata da chi fino ad ieri è stato avversario tra gli scranni dell'Aula Giulio Cesare. Con i 19 del Pd si sono dimessi altri 7 consiglieri, di cui due della maggioranza (Centro democratico e Lista Civica Marino) e 5 dell'opposizione. Tra questi ultimi anche due della Lista Marchini, Alfio Marchini compreso, due della lista di Fitto Conservatori riformisti, uno del Pdl. M5S e Sel non hanno firmato le dimissioni. Ma il sindaco chirurgo non ci sta. Convoca nel tardo pomeriggio una conferenza a Palazzo Senatorio. Rivendica quanto fatto nel suo mandato. «Roma è tornata ad essere virtuosa. Abbiamo sbarrato le porte al malaffare, chiuso con Parentopoli» dice Marino che in questi mesi si è voluto cucire addosso il ruolo del sindaco della legalità, dell'anti-Mafia Capitale e che oggi però si scopre essere indagato nell'inchiesta sulle spese di rappresentanza - «È un atto dovuto per svolgere le indagini» taglia corto. Insomma l'ormai ex primo cittadino davanti a tv e giornalisti si sfoga e fa quello che avrebbe voluto fare in Aula. Per lui il luogo dove «chiudere la crisi politica». Ma non c'è stato tempo, gli hanno sfilato sotto il naso questa possibilità: il Pd si è mosso prima scongiurando così quello che sarebbe stato un vero e proprio bagno di sangue. Per questo Marino si scaglia contro i suoi traditori, contro chi ha «preferito andare dal notaio con chi ha militato con Berlusconi» piuttosto che in Aula, contro quel Pd che ha di fatto così «negato la democrazia». Poi l'affondo: «Prendo atto che i consiglieri si sono sottomessi e dimessi per evitare un confronto pubblico». «Sono stato accoltellato da 26 nomi e cognomi ma da un unico mandante» il dardo avvelenato che scaglia verso il Nazareno. Il bersaglio il segretario Matteo Renzi con il quale, sottolinea l'ex primo cittadino, «nell'ultimo anno non ha avuto nessun rapporto». «Marino non è vittima di una congiura. Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo, anche se sindaco» la replica di Renzi che invita a chiudere tutte le polemiche e a mettersi al lavoro. A fargli eco il commissario dei dem a Roma Matteo Orfini: «Di fronte al fallimento di questa giornata il protagonista deve guardare ai propri errori e non scaricare responsabilità su quelli che gli stanno intorno». Orfini gli dà anche del bugiardo dicendo che i democrat avevano dato disponibilità ad un confronto in assemblea capitolina. E «bugiardo»lo aveva già chiamato in mattinata Stefano Esposito. Ma indietro ora non si torna. Su questo è chiaro il chirurgo dem che si congeda con un monito: «Si può uccidere una squadra ma non si possono fermare le idee». Il sanguinoso epilogo non passa inosservato Oltre Tevere. L'Osservatore Romano bolla il caso delle dimissioni di Marino «una farsa» mentre il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, afferma: «Roma ha bisogno di un'amministrazione, della guida che merita, perchè è una città che merita moltissimo, specialmente in vista del Giubileo che è alle porte». Tra 40 giorni inizia l'Anno Santo della Misercordia. Il primo Giubileo in una Roma commissariata.