ROMA. Il Pd e l'intera maggioranza raggiungono una intesa sulle riforme costituzionali, cosa che spinge il premier Renzi a dichiararsi sulla solidità della sua maggioranza in Senato. Ma una valanga di emendamenti di Roberto Calderoli, oltre 82 milioni, è sembrata mettere in crisi l'approvazione della riforma; un rischio in serata spazzato via dal presidente del Senato Pietro Grasso che ha dichiarato che non avrebbe consentito il blocco del Senato, riservandosi azioni come l'inammissibilità degli emendamenti di Calderoli.
In mattinata scadeva il termine per depositare in Senato gli emendamenti, e ne sono arrivati tre che hanno recepito l'accordo interno al Pd, e con tutta la maggioranza. Infatti essi recano la firma dei tre capigruppo Luigi Zanda, Renato Schifani e Karl Zeller, oltre quella di Anna Finocchiaro. Essi stabiliscono che i futuri senatori saranno eletti dai Consigli regionali tra i loro membri, ma recependo le indicazioni degli elettori, che al momento dell'elezione dei Consigli sceglieranno quali consiglieri faranno anche i senatori. Insomma il "lodo" proposto da Gaetano Quagliariello sin dallo scorso luglio. E infatti i senatori di Ncd hanno ricordato che la mediazione riprende la loro proposta. Pierluigi Bersani ha plaudito alla soluzione, e Renzi ha ribadito la sua sicurezza: "i numeri c'erano, ci sono e ci saranno. La maggioranza in Senato è stabile e solida".
Ma ecco che sono piovuti anche 62.000 emendamenti della capogruppo di Sel, Loredana De Petris, e addirittura 82 milioni da da Roberto Calderoli. Questi ha subito dichiarato di essere pronto a ritirarli se il governo avesse dato una "soluzione" a tre suoi emendamenti, riguardanti le funzioni del Senato, quelle delle Regioni, e la finanza degli enti Locali. La mossa di Calderoli è stata criticata dalla maggioranza; Zanda ha parlato di "sabotaggio del Senato" e Finocchiaro di "una caricatura della democrazia". Secondo Renzi poi "quando presenti 82 milioni di emendamenti entri nel campo del ridicolo". Insomma l'ottimismo per l'accordo di maggioranza è sembrato vacillare. Nel primo pomeriggio però le cose sono cambiate. Zanda, il ministro Boschi e Finoccharo hanno sì incontrato Calderoli, ma gli hanno detto che se non avesse ritirato gli 82 milioni di emendamenti, non avrebbero trattato. "Non si dialoga con chi ha la clava in mano", ha detto il sottosegretario Luciano Pizzetti. Per altro la maggioranza si era apprestata ad una valanga di emendamenti della Lega, depositando su ogni articolo un emendamento predittivo, ciascuno dei quali fa decadere tutti gli altri riguardanti quell'articolo. Misura comunque insufficiente, perché la sola messa in ordine degli emendamenti della Lega avrebbe richiesto anni.
Ma a disinnescare la bomba di Calderoli e di De Petris ci ha pensato direttamente il presidente del Senato Grasso, preoccupato di non poter garantire quello che è il suo compito istituzionale: permettere all'Aula di pronunciarsi con il voto, che si tratti di un sì o di un no. Egli ha quindi convocato Calderoli e De Petris e ha chiesto loro di mantenere gli emendamenti in numero tale da "esercitare il proprio sacrosanto diritto di opposizioni in modo ragionevole". Se non ritireranno loro gli emendamenti ostruzionistici sarà Grasso ha dichiararli inammissibili.
"Milioni di emendamenti - ha poi dichiarato Grasso - sono una offesa alla dignità delle istituzioni. Non permetterò che il Senato sia bloccato da iniziative irresponsabili e assumerò tutte le misure necessarie per consentire in Aula il dibattito nel merito". Insomma se finora il governo temeva le scelte di Grasso in vista dell'ammissibilità degli emendamenti all'articolo 2, ora indirettamente trova in lui un argine che dovrebbe consentire l'approvazione delle riforme entro il 15 ottobre.
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