Piepoli: «Nei sondaggi Renzi riconquista fiducia, ma dopo gli annunci servono atti concreti»
Impegnato a dirimere le fronde interne, legato a doppio filo alle solenni promesse rivolte in diretta tv agli italiani, Matteo Renzi è atteso a un banco di prova importante. Nel momento in cui si fanno frenetiche le operazioni della spending review, e pressanti le preoccupazioni delle Regioni, il premier dovrà attingere a tutto il patrimonio di fiducia conquistato da quando è al governo. «Dopo un periodo di appannamento, Renzi ha ripreso a godere di una buona fiducia», spiega il decano dei sondaggisti italiani, Nicola Piepoli. «Gli ultimi annunci hanno risollevato le sue quotazioni, ma ora viene il delicato momento di far seguire agli annunci fatti concreti», chiarisce l'amministratore delegato dell'omonimo istituto da lui fondato. Professore, qual è lo stato di salute del governo? «In questo momento Renzi è stabile al suo minimo storico. Il premier viaggia intorno al 35-37 per cento di fiducia. Non è pochissimo. A livello internazionale è una media discreta, se solamente si guarda a Hollande che in Francia è fermo al 20 e a Obama che è stabile al 40. Direi che se si guarda ai capi di governo e di Stato degli altri Paesi, Matteo se la cava ancora abbastanza bene». Gli ultimi dati avevano segnalato un certo appannamento. Quanto gli ha giovato annunciare meno tasse per tutti? «L'annuncio di forti tagli alle tasse ha inciso in senso positivo sugli umori degli italiani. Renzi non ha guadagnato in popolarità, ma ha tratto da questa trovata qualche punto di fiducia». Ora Renzi è in risalita, dunque. Ma che cosa aveva provocato il calo di gradimento? «Anche se Andreotti affermava che il potere logora chi non ce l'ha, il potere logora anche e soprattutto chi governa. È nella fisiologia delle cose: chi sta sulla tolda di comando è destinato a un graduale deterioramento del feeling con i cittadini». Il taglio delle tasse era dunque la carta da giocare per risalire la corrente? «È chiaro che la gente vuole che le promesse siano realizzate, e non soltanto annunciate. Tutti gli italiani chiedono di avere a disposizione maggiore reddito disponibile. I propositi di Renzi sono stati ascoltati con interesse e fiducia. Anche se finora, la speranza di mettersi in tasca qualche spicciolo in più è rimasta ancorata al mondo dei sogni». È stato fatto abbastanza per il rilancio dell'economia? Che cosa ne pensano gli italiani? «Su questo versante c'è da registrare che i nostri connazionali nutrono fiducia. Più di quanto non ne manifestino gli altri cittadini europei rispetto alle politiche economiche dei loro governi. A oggi, qui da noi si guarda al futuro con un certo ottimismo. In prospettiva gli italiani pensano che ci sia la possibilità di guadagnare nei prossimi mesi qualche punto di Pil. La fiducia genera fiducia». L'«annuncite» è segnalata come il tallone d'Achille di Matteo Renzi: in definitiva ha fatto danni o lo ha aiutato? «Il concetto è semplice: se all'annuncio segue il fatto, la promessa ripaga. Bisogna sempre legare le parole a qualche cosa di realistico. Altrimenti l'autogol è dietro l'angolo». Quanto ha nuociuto il dissenso interno al partito, che è sfociato in molti abbandoni? «Agli italiani non potrebbe importare di meno. Zero virgola zero». Anche l'Italicum lascia indifferenti? «Lo trovano un argomento di scarso interesse. Non sposta niente, o quasi». Il Jobs Act è stato molto discusso dalle parti politiche: agli italiani piace o è visto come fumo negli occhi? «La riforma del lavoro ha aumentato la credibilità del governo: in generale la percezione del provvedimento è da reputarsi buona. Non abbiamo viceversa abbastanza elementi per valutare l'impatto dell'altra riforma condotta in porto: sulla buona scuola le reazioni sono ancora difficili da decifrare». Il Sud affoga, il Nord è in ripresa: Renzi è altrettanto forte nel Meridione? «Il Sud soffre molto più che il Nord. Ma l'opinione pubblica meridionale non è tuttavia diversa da quella settentrionale. C'è una certa convergenza di pareri, intorno a quelli che sono i nodi irrisolti del Paese». Qual è stata la mossa più azzeccata del governo Renzi? «Senza ombra di dubbio gli 80 euro. L'aumento in busta paga è stata l'operazione che più ha fatto aumentare l'indice di fiducia nel premier». Quale invece l'errore più contestato? «Gli italiani ritengono che sia stato fatto troppo poco sul fronte degli investimenti e dello sviluppo. Non si tratta di un vero e proprio passo falso, ma dell'aver disatteso le aspettative dei cittadini che confidavano in un "cambio di verso" più deciso. Questo è in particolare uno dei fattori chiave che spiega il leggero appannamento di Renzi in tempi recenti. Un danno lieve, a dire il vero. Il premier resta pur sempre il leader di un partito che ha il 34 per cento di share. Prodi è rimasto stabile su questi indici per molto tempo. E nessuno gli ha mai detto nulla». Un patrimonio di consensi ancora ampio: ci sono all'orizzonte rischi di dilapidarlo? «I veri problemi nascono quando un leader scende al di sotto del 20 per cento di fiducia: valicare quella soglia significa che l'opinione pubblica prende il suo capo per un imbecille. Ma quel momento per Renzi è ancora piuttosto lontano: dal 35 al 20 c'è un abisso. Tutto sta nel vedere dove sfoceranno le molte promesse».