Mercoledì 25 Dicembre 2024

Padellaro: «Il premier perde pezzi di elettorato, non farà nel Pd una resa dei conti»

«Tutti prevedevano, dopo le Europee dello scorso anno, che il Movimento Cinque Stelle sarebbe lentamente evaporato consumandosi tra incomprensioni e litigi interni. Invece, no». Antonio Padellaro, editorialista, già direttore de «L'Unità» e del «Fatto Quotidiano», spiega così i motivi per cui i grillini vengono considerati i vincitori delle recenti Regionali, malgrado abbiano perso un milione 956 mila voti rispetto alle Politiche del 2003 e non siano riusciti a conquistare nessuna Presidenza. Sorpresa a Cinque Stelle? «La sorpresa è stata di vederli ancora vivi e rilevanti nel quadro politico nazionale. Vero è che hanno perso molti voti, ma questo è successo a tutti i partiti con la sola eccezione della Lega. E non sono consensi andati altrove. Probabile, invece, che gli elettori del Movimento Cinque Stelle siano semplicemente rimasti a casa». Certo è, comunque, che neppure il Movimento sembra conoscere rimedio contro l'astensionismo. O no? «L'astensionismo è frutto di tante cause. La prima, certamente, è dovuta al discredito della politica in Italia. Non passa giorno che non si segnali per aspetti negativi. Quando non parliamo della difesa di privilegi e vitalizi, siamo costretti invece a occuparci del Consiglio comunale della Capitale per scoprire che lì si fa un mercato delle vacche quasi alla luce del sole. Come si fa a votare in queste condizioni? Se domani vi fossero elezioni a Roma, mi chiedo perchè dovrebbe recarsi alle urne una persona normale che non fa parte di un clan o non è al centro di un qualche voto di scambio!». Punto secondo? «Questa è una ragione di astensionismo su cui, certamente, esiste una responsabilità di M5S. Quando nel 2013 presero tra gli 8 e i 9 milioni di voti, l'elettorato chiedeva che i Cinque Stelle facessero valere quel risultato sul tavolo della politica. Loro, invece, hanno scelto un'altra strada restando lontani non solo dai compromessi ma anche dalle giuste mediazioni. Stanno sul riva del fiume, in attesa che passi il cadavere del Partito Democratico e degli altri partiti. Ma questo è un modo che molti cittadini non approvano». Beppe Grillo, intanto, ha avvertito Matteo Renzi che «il tacchino del Pd sarà nel forno» alle prossime elezioni nazionali. La battuta di un comico? «Penso proprio di sì. Non dimentichiamo mai che Grillo è un professionista della scena, dello spettacolo. Ammettiamo, comunque, che si voti alla scadenza naturale della legislatura e cioè nel 2018. Non penso che, con questo quadro, Renzi possa essere estromesso. A meno che non succeda un cataclisma, ad esempio un'altra "Mani Pulite", il premier resterà il "king-maker" della politica italiana. Lui, ad ogni modo, ha cercato di mettere paura alla sinistra dicendo che dietro la porta non c'è Landini, ma Salvini!». Il «balzo padano», appunto. La Lega ha conquistato alle Regionali oltre il doppio dei voti rispetto a due anni fa: si profila all'orizzonte una sfida Renzi-Salvini? «In Italia, abbiamo una lunga tradizione di voto agli outsider che si gonfia con la protesta: dal movimento dell'Uomo Qualunque nel primo dopoguerra, che poi sparì, all'Msi di Almirante che negli anni '70 divenne una forza politica a doppia cifra in alcune zone d'Italia, salvo però tornare presto alle percentuali minime di prima. I vecchi democristiani dicevano che quelli erano voti messi in freezer, che non servivano a nessuno. Anche la Lega e i Cinque Stelle sono movimenti che non propongono alternative e non fanno proposte concrete. Sia chiaro, Salvini non ha soluzioni!». In mancanza di «alternative», 5 a 2 nelle Regioni per il Pd. Eppure, nessuno in quel partito sembra avere voglia di sorridere davvero. Perchè? «I dati oggettivi dicono che, a parte la Lombardia e il Veneto insieme con la Liguria, le Regioni nel resto d'Italia sono governate dal Pd. E Matteo Renzi fa bene a sottolinearlo. Andiamo, però, a guardare chi sono i presidenti eletti in queste elezioni: non sono certo renziani. E non lo sono neppure molti altri. Penso, ad esempio, a Crocetta in Sicilia. È tutto, tranne che un renziano». Se il risultato non è stato pieno, giusto che il premier-segretario se la prenda con la «sinistra masochista» e gli oppositori interni? «Lui non farà mai autocritica, ma è pragmatico e i conti sa farseli. In questo momento, lui sa che la riforma della "buona scuola" può già naufragare in commissione dove sono presenti esponenti antirenziani del Pd come Corradino Mineo. Da un lato, quindi, lancia messaggi contro la sinistra masochista ma dall'altro cerca di blandirla. In un momento diverso, li avrebbe già cacciati. Stavolta, no». Perchè non lo ha fatto? «È semplice: le Regionali hanno detto che, al di là del rilievo di Bersani, Fassina o D'Attorre, questi personaggi rappresentano dei voti. E sono quelli dei Democratici di Sinistra. Non bisogna dimenticare, d'altronde, che il Pd è il prodotto della malriuscita fusione fredda tra Ds e Margherita. Molti dei 2 milioni di consensi persi da Renzi in queste elezioni sono riconducibili a una sinistra che non si sente più rappresentata da lui». In Liguria, centrodestra unito e successo al forzista Giovanni Toti. Silvio Berlusconi ha trovato una nuova ragione per sperare? «Silvio Berlusconi era, appena sette anni fa, il padrone incontrastato della politica italiana. Adesso, vivacchia sugli errori degli altri. Se il Pd in Liguria avesse azzeccato il candidato, mentre Raffaella Paita era sbagliata per mille motivi, avrebbe certamente eletto il governatore. Lì, Berlusconi può essere contento ma mi sembra che ormai si accontenta delle briciole. Tanto più che, nell'area del centrodestra, Forza Italia è stata doppiata dalla Lega e rischia di diventare un partito residuale. Ma ciò, in fondo, non sembra che a lui importi più di tanto. È stato sempre più interessato alla "roba", al suo patrimonio». Alla luce di questi risultati, «Italicum» è già una legge da cambiare? «Un po' complicato cambiarla adesso, dopo che sono passati anni per cambiare il "Porcellum". Penso che l'"Italicum" ormai ce lo terremo, ma paradossalmente rischia di essere un boomerang per Renzi che lo aveva disegnato per il suo cosiddetto Partito della Nazione, capace di prendere voti a destra e sinistra. Invece, alle prossime Politiche, è possibile che si realizzi uno schema tripolare e che il superpiatto del premio di maggioranza finisca nelle mani di Salvini o di Grillo. Sarebbe una farsa. Una tragica farsa».

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