ROMA. Matteo Renzi va oltre "la ragioneria dei numeri" nella direzione convocata per analizzare il risultato delle regionali. Per richiamare il Pd alla "missione storica" di un governo di legislatura che sfidi le "tre opposizioni": la Lega che "sferra l'attacco più insidioso su di noi", la sinistra di Landini "pura demagogia, destinata alla sconfitta" e Beppe Grillo, che "è stabilmente la terza forza". Ma chi si aspettava l'appello ad una tregua interna sbaglia: "Sulla scuola prendiamoci due settimane ma non ho problemi di numeri. Chi vuole bloccare le riforme mi tolga la fiducia qui e in Parlamento". Avvertimenti che non frenano la minoranza che con Fassina, Cuperlo e D'Attorre, critica la "lettura di parte" del voto e invita Renzi a "cambiare rotta" per tornare al centrosinistra. Con un intervento-fiume, di quasi un'ora e mezza, il premier prova a mette da parte le recriminazioni "dopo una campagna elettorale in cui si è fatta indigestione di polemiche interne" invece che rivendicare i risultati di governo. Certo si è perso in Liguria e in Umbria "si è sofferto", l'astensionismo è cresciuto di 11 punti, ammette il premier, ma "tutto il sud è nostro". Colpa di una distanza, incalza Gianni Cuperlo, tra il racconto e le urne che "hanno detto che quella strategia non regge l'urto", perdendo voti a sinistra e non sfondando a destra. Secondo Fassina, il leader dem "non guarda in faccia la realtà" e i numeri visto che, incalza D'Attorre, "siamo tornati indietro rispetto al 25 per cento del 2013, questo marchio di infamia brandito per un anno". Tra la maggioranza dem e la sinistra c'è una distanza abissale nell'analisi del voto. E anche nella direzione di marcia che dovrebbe tenere il Pd. Il premier liquida come "demagogia" la tesi di chi critica il Pd di aver perso voti rispetto alle europee. E chiama ad un bilancio più a lunga durata alla luce del fatto che "senza un governo di legislatura non si fanno riforme strutturali" e si rischia di perdere. Quindi avanti sulle riforme: sulla "Buona Scuola", in primis che non è fatta "per assumere 200mila persone, come un ammortizzatore sociale, ma per i giovani". Il segretario dem dilata i tempi: "prendiamoci altre due settimane di tempo e andiamo a discutere in ogni circolo". E la minoranza accoglie l'apertura, rinviando alla "verifica nel merito" delle modifiche. Nessuna apertura di credito invece da Andrea Ranieri, l'esponente ligure vicino a Civati che in direzione dà l'addio al Pd: "In questo partito non rappresento più nessuno". Fuori dal Pd un gruppo di insegnanti ha accolto a suon di "vergogna" tutti gli esponenti della direzione, dentro la sala Renzi ammette di "non essere riuscito a coinvolgere il mondo della scuola". Un'apertura al confronto che non ha niente a che vedere con la ristrettezza dei numeri al Senato: "Se vogliamo approvare la riforma della scuola così com'è lo facciamo domani mattina, anche a costo di spaccare il Pd", mostra sicurezza il leader dem. Anche sulle riforme istituzionali Renzi si dice disponibile "ad una riflessione purchè si chiuda". Confronto ok a patto di non "continuare a guardarsi l'ombelico mentre l'Italia riparte". E, senza annunciare sanzioni o misure, il premier mette un paletto a "voti di coscienza declinati in correnti" e annuncia un codice di condotta interno. "Quando c'è una questione di fiducia e voti contro, non accetto che gli stessi mi facciano la ramanzina sull'unità del partito", avverte riferendosi alla richiesta di favorire l'unità avanzata dall'ex capogruppo Roberto Speranza. Insomma basta "diktat" da parte di nessuno, "maggioranza, minoranza e men che meno della minoranza della minoranza", è l'ultimo avviso di Renzi alla sinistra. Ma la sinistra non sembra spaventata: se bisogna essere leali, chiosa Fassina, "ricordo che siamo stati eletti in Parlamento per portare avanti un programma in molti punti molto diverso da questo".