Il lunghissimo applauso liberatorio, scattato al raggiungimento del quorum da parte del candidato presidente Sergio Mattarella, racconta più di ogni altra cosa lo stato d' animo con cui i grandi elettori hanno vissuto questo appuntamento. Il Partito democratico e la sinistra dovevano cancellare una delle pagine più nere della loro recente storia politica, l'affondamento di Romano Prodi per mano dei franchi tiratori solo due anni fa. Stessi votanti ma risultato completamente diverso.
Anzi molti "franchi sostenitori" sono arrivati dalle file del centrodestra e degli ex grillini. Il neopresidente ha sfiorato i due terzi dei sì che permettono l'elezione alla prima votazione. Una pagina positiva per le istituzioni e certamente una vittoria per Matteo Renzi.
Il presidente del Consiglio ha ottenuto un risultato importante, ha dimostrato di saper perseguire con determinazione e disinvoltura i suoi obiettivi. Non ha avuto paura dei rischi e non ha cercato compromessi a ogni costo.
La muscolarità con cui ha affrontato la sfida avrà però sicuramente conseguenze, al momento difficili da valutare. Al Quirinale viene eletta una personalità dall' alto profilo politico e istituzionale, appartenente alla prima Repubblica, sostenuto anche dagli oppositori di Renzi nel Pd e da quel mondo della sinistra radicale che ha combattuto le riforme del premier. Uomo colto, austero, dal tratto poco interventista. Si illude però chi pensa che sarà un presidente addetto alle cerimonie e al taglio dei nastri, dipendente dal governo in carica o dalla sua maggioranza. Mattarella, un minuto dopo il suo insediamento, sarà il garante dell' unità della nazione e dell'interesse generale del Paese. Non ha infatti bisogno di dire grazie a nessuno.
Avrà un orizzonte di sette anni e saprà dimostrare la più completa autonomia. Al di sopra delle parti, mai sopra le righe e mai sotto tutela. Mattarella ha, inoltre, una profonda conoscenza della Costituzione e dei meccanismi istituzionali (la legge elettorale in vigore per alcuni anni portava il suo nome).
Sicuramente farà sentire il suo peso nel percorso delle riforme che il Parlamento voterà nei prossimi mesi. Il largo risultato ottenuto rafforza il suo ruolo e la sua possibilità di indirizzare e di incidere. Matteo Renzi ha voluto parzialmente correggere, prima della quarta votazione, la proposta iniziale presentata alle altre forze politiche con il tono del prendere o lasciare.
Una scelta che univa tutto il Pd e trovava il sostegno caloroso della sinistra di Vendola. Un'alleanza però molto diversa da quella che regge il suo governo e lontana dal patto del Nazareno, che ha dato il primo via libera alla riforma elettorale e istituzionale. Il coinvolgimento tardivo e sofferto dei centristi di Alfano e Casini e i voti arrivati da Forza Italia cambiano in parte lo scenario iniziale. Ma lo strappo c' è stato e non sarà facile recuperarlo. Il premier sa che le sue riforme economiche hanno tanti nemici nella sinistra del Pd e raccolgono l' ostilità totale di Sel.
Quanto durerà l'unità di facciata del partito andata in scena ieri? E se durerà, non verrà pagata a caro prezzo sul fronte delle riforme? Il recupero di un rapporto di fiducia e di lealtà con la parte moderata della maggioranza è un punto non eludibile. La sensazione diffusa è che la relazione non sarà più quella di una volta. Prima sarà fatta questa verifica, meglio sarà per il Paese. Ancora più problematico è il destino delle riforme. Forza Italia è un partito attraversato da tensioni di ogni tipo, un fiume gonfio di ostilità, dissociazioni, linee e interessi contrastanti.
Berlusconi sta vivendo una fortissima delusione politica e personale. Aveva puntato tutto su Renzi e sul patto del Nazareno, considerava Matteo il figlio politico che mai aveva trovato nel suo partito. Renzi non gli ha dato sponde, ha voluto imporre un rapporto in cui è chiaro chi dà le carte e chi deve adeguarsi. In queste condizioni il destino parlamentare delle riforme diventa, per usare un eufemismo, accidentato. Il primo compito del neo presidente Mattarella sarà proprio quello di favorire il ritorno a un clima di dialogo e di confronto tra le forze politiche. Il Paese non può permettersi un' altra legislatura senza riforme economiche e istituzionali, tanto meno di avviarsi verso nuove elezioni anticipate, proprio nell' anno di una timida, e a lungo agognata, ripresa.
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